A 50 anni dalla prima personale torna a Bologna Patrick Procktor

Fino al 5 febbraio 2023 Palazzo Bentivoglio ospita la mostra Patrick Procktor. A View From a Window, la monografica sull’artista inglese (1936-2003), ripercorre i passaggi salienti e gli elementi essenziali della produzione artistica di un protagonista del panorama artistico londinese dagli anni Sessanta agli Ottanta. Figura contraddittoria ed esuberante, Procktor si pone in contrapposizione alle correnti artistiche dell’epoca e anche, talvolta, ai valori e ai costumi sociali prevalenti. Riprende generi tradizionali, quali il ritratto e il paesaggio, in una chiave nuova, ironica e fortemente autobiografica, restituendoci un percorso del tutto personale in cui indaga i concetti di figura e spazio, facendo emergere, in ultima istanza, le potenzialità espressive del medium pittorico. Ne parliamo con Tommaso Pasquali, curatore della mostra e storico dell’arte dell’Università di Bologna.

Come è nata l’idea di un progetto espositivo dedicato a Procktor a Palazzo Bentivoglio? 

«Il 2022 è una data significativa perché ricorrono i cinquant’anni da una personale dell’artista a Bologna. La mostra del 1972, a cura di Franco Solmi, fu ospitata a Palazzo Galvani, odierno Museo Civico Archeologico, e presentò al pubblico alcuni lavori che possiamo rivedere anche oggi in questo percorso. In esposizione una ventina di opere della collezione permanente del palazzo intrecciano un dialogo con altre provenienti da gallerie e collezioni private italiane e inglesi, per un totale di settanta lavori fra dipinti, acquerelli e disegni che vanno dai primi anni Sessanta ai primi anni Novanta».

Patrick Procktor, Ritratto di Peter Docherty, 1966, Palazzo Bentivoglio, Bologna, ph Carlo Favero

A View From a Window è il titolo della mostra e anche di un’opera esposta. Che valenza ha?

«Il potenziale metaforico del titolo restituisce il senso di una ricerca ostinatamente figurativa che nasce sulla scia di Bacon e Vaughan, arrivando già a metà degli anni Sessanta, a piena indipendenza e maturazione. Un percorso soggettivo che non ha l’ambizione di essere rappresentativo degli orientamenti artistici coevi all’attività di Procktor, ma che dà l’idea di una porzione di mondo con una sua profondità, i suoi dettagli, i suoi riferimenti, come quelli che si scorgono dall’apertura di una finestra».

Procktor porta avanti un percorso all’interno di una tradizione. Possiamo dire che ci sono comunque elementi di novità che vale la pena ricordare?

Locandina della prima mostra a Bologna dell’artista

«Procktor compie, quasi per sfida, scelte anti contemporanee, che hanno però le loro radici in orientamenti contemporanei. Il ricorso all’acquerello, fuori moda per il tempo, è un’opposizione alle convenzioni e agli orientamenti degli anni ‘60 che vedono nella dimensione della grandezza un aspetto caratterizzante della produzione artistica, che la tecnica dell’acquerello non consente, per esempio. L’acquerello, inoltre, gli consente di smaterializzare lo spessore della materia, del medium pittorico, in una maniera che Procktor assimila all’utilizzo dell’acrilico nella grande astrazione americana. Ciò che fino agli Settanta interessa a Procktor infatti non è tanto la dimensione pittorica e la corposità del colore, quanto la figura in rapporto ai piani della composizione e al fondo».

Esiste un concetto di spazio secondo Procktor?

«La spazialità per l’artista inglese è ridotta a piani compositivi. Se pensiamo ai ritratti dedicati all’amante Gervase Griffith (1968-1969), ritroviamo un appiattimento molto freddo della composizione su base fotografica, fatto raro poiché Procktor lavora poco su base fotografica. Di lì a pochi anni la sua ricerca cambia direzione, come si vede nel ritratto dell’amica e attrice di teatro Jill Bennet (1972), dove lo spazio è costruito in maniera più chiusa e ricca, più tradizionale. In questo caso la ritrattata è inserita in uno spazio che si deforma insieme alla figura. Questo aspetto di anamorfosi, sempre venato di humor, ritorna nella sua produzione per accentuare l’espressività e l’emotività dei personaggi ritratti».

Patrick Procktor. A View From a Window, Palazzo Bentivoglio, Bologna, 2022, ph Carlo Favero

La terza sala della mostra è dedicata al viaggio, tra i luoghi amati dall’artista inglese anche l’Italia. Che ruolo ha avuto nel suo percorso?

«Procktor è stato un grande viaggiatore verso mete esotiche. Con i suoi lavori, racconta puntualmente gli spostamenti verso Grecia , India, Egitto, Cina, Giappone. L’Italia, e il Veneto in particolare, diventa invece quasi una seconda patria negli anni Settanta. Nel nostro Paese arriva molto giovane nel 1962 per la prima volta. Durante questo viaggio rimane affascinato dalla combinazione di astrazione e figura che trova nelle pitture murali della Villa dei Misteri a Pompei. E sarà poi durante una vacanza italiana insieme a Hockney, nell’estate del 1967, che avrà l’occasione di riflettere sulle potenzialità dell’acquerello, che decide di eleggere a suo medium per eccellenza. Del nostro Paese lo colpisce soprattutto la luce. In mostra grandi fogli dedicati a Venezia, città amata e frequentata dall’artista, sfida luministica, e anche soggetto che Procktor decide di rappresentare dal vivo e dal suo studio a Londra, secondo una scelta fondamentalmente anti contemporanea. La città è un soggetto saturo di sedimentazioni visive ed era difficile darne una lettura nuova, andando oltre gli stereotipi e il pittoresco: la mostra è un’occasione anche per verificare se e quanto questa sfida formale sia vinta. L’Italia, inoltre, è stata essenziale per Procktor anche dal punto di vista commerciale e relazionale. È stato rappresentato da diverse gallerie, in particolare dalla storica ‘Galleria del Cavallino’ di Venezia, che fu essenziale nel favorirne un collezionismo norditaliano».

Patrick Procktor, Juliet Benson, 1968, Palazzo Bentivoglio, Bologna, ph Carlo Favero

Di Procktor nella nostra città rimane pochissima traccia, ma anche nella sua patria ormai è poco ricordato. Per quale motivo a suo avviso questo artista è stato in parte dimenticato?

«L’essere stato un artista ostinatamente figurativo, estraneo ai canoni dell’arte contemporanea, in un momento in cui il mondo dell’arte andava in altra direzione, ha sicuramente influito molto. Negli gli anni Sessanta e Settanta la bussola punta verso ricerche concettuali ed extra-pittoriche, mentre Procktor continua a dipingere e prosegue con indipendenza in questa direzione quando si assiste a un ritorno della pittura con gli anni Ottanta. La sua ricerca artistica non ha rappresentato quindi una parabola particolarmente rappresentativa di certi orientamenti, benché aperta a contaminazioni. Questo ha isolato la sua figura, come accaduto ad altri che hanno fatto pittura in maniera tradizionale e che, pur avendo compiuto percorsi di qualità e interesse, risultano difficili da categorizzare».

In copertina: Patrick Procktor, Charles Newington alle Zattere, 1976, Palazzo Bentivoglio, Bologna, ph Carlo Favero

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