Addio a Lisetta Carmi
Il 5 luglio è scomparsa la fotografa 98enne, genovese di nascita e pugliese di adozione, Lisetta Carmi. Lo scorso marzo avevamo parlato dell’acquisizione da parte del Mambo di quattro opere fotografiche realizzate da lei e appartenenti al suo lavoro più celebre, la serie di ritratti realizzati nella seconda metà degli anni Sessanta e dedicati ai travestiti della sua città natale, considerato tra le prime indagini sociali sul fenomeno del travestitismo in Italia.
L’idea di fotografare la realtà di questa comunità nasce la notte di San Silvestro del 1965, quando Lisetta Carmi accetta l’invito dell’amico Mauro Gasperini per partecipare a una festa organizzata da alcuni membri di quella comunità che vive nell’ex ghetto ebraico della città. Grazie al profondo sentimento di empatia, confidenza e rispetto che si stabilisce tra chi sta dietro e chi sta davanti l’obiettivo, lo sguardo limpido della fotografa continua a documentare per i sei anni successivi la quotidiana emarginazione e ‘messinscena’ in cui vivono queste figure, tra maschere, dramma, ironia e provocazione. Dopo vari tentativi falliti di pubblicazione, Sergio Donnabella, un amico dell’autrice, colpito dalla portata dirompente del progetto, decide di fondare la casa editrice Essedi Editrice appositamente per dare alle stampe un libro fotografico. Pubblicato nel 1972, I travestiti raccoglie una selezione di 150 fotografie in bianco e nero di grande formato, accompagnate da una nota e dalle interviste alle persone ritratte a cura dello psichiatra Elvio Facchinelli. In seguito le immagini dello straordinario reportage verranno ristampate a colori.
È la stessa Lisetta Carmi a raccontare nell’introduzione al libro l’origine di questo progetto: «Io sono entrata nell’ambiente dei travestiti per caso nel 1965 durante una festa di capodanno: li ho rivisti successivamente nella loro vita quotidiana e ho incominciato a vivere con loro e a fotografarli. Li ho subito sentiti come essere umani che vivono e soffrono tutte le contraddizioni della nostra società come minoranza ricercata da una parte e respinta dall’altra. Non è un caso però se il mio interesse e la mia partecipazione ai loro problemi hanno creato fra me e loro una fiducia, un affetto, una comprensione che mi hanno permesso di fare questo lavoro con un rapporto che andava al di là di un normale rapporto tra fotografo e fotografati. Io stessa in quel tempo ero assillata – forse a livello inconscio – da problemi di identificazione maschile o femminile. Oggi capisco che non si trattava tanto di accettazione di uno ‘stato’ quanto di rifiuto di un ‘ruolo’. E i travestiti (o meglio il mio rapporto con i travestiti) mi hanno aiutato ad accettarmi per quello che sono: una persona che vive senza un ruolo».

Ci mancherà questa grande artista, nata quasi un centenario fa in una famiglia borghese di origine ebraica e dalla vita straordinaria: rifugiata in Svizzera all’inizio della Seconda Guerra Mondiale per via delle Leggi razziali, fu pianista di talento convertita nel 1960 alla fotografia durante un viaggio in Puglia con l’amico etnomusicologo Leo Levi, che vide come un modo per riavvicinarsi alla gente, agli ultimi, al dolore e alla vita. Tra il 1962 e il 1964 collabora come fotografa di scena con il Teatro Duse di Genova. In seguito realizza un primo reportage in Sardegna e poi a Genova: dall’Ospedale Gaslini all’Ospedale Galliera, all’anagrafe, al centro storico e alle fogne cittadine. Fotografa il porto di Genova con l’obiettivo di informare e denunciare lo sfruttamento del lavoro operaio da cui nasce una mostra itinerante in Italia che approderà in Unione Sovietica. Nel 1966 realizza la piccola serie di foto dedicata all’incontro col poeta Ezra Pound a Sant’Ambrogio di Rapallo, grazie al quale vince il prestigioso premio Nièpce per l’Italia. Viaggia in Inghilterra, e documenta in Olanda il movimento di protesta dei Provos ad Amsterdam; nel 1969 parte alla volta dell’America Latina, viaggia in Venezuela, Colombia e Messico. Negli anni Settanta viaggia in Oriente, Afghanistan, India, Pakistan e Nepal. Nel 1975 fotografa la difficile situazione a Belfast in Irlanda.
Lisetta Carmi viveva a Cisternino, piccolo centro in provincia di Brindisi dove si era trasferita nel 1971 per vivere in un trullo e che diventerà la sua terra e lo resterà fino alla fine. Quando nel 1976 incontra a Jaipur il guru Babaji Herakhan Baba, il Mahavatar dell’Himalaya, inizia il suo importante percorso spirituale che la porta a fondare nel 1979 un ashram proprio a Cisternino. Nel 1984 lascia la pratica fotografica per dedicarsi anima e corpo ai lavori di costruzione del tempio pugliese, che sarà ultimato nel 1986 e a cui anni dopo, nel 1997 lo Stato italiano riconoscerà lo statuto di Ente Morale.

A partire dal 2005, dopo lunghi anni di oblio, le fotografie di Lisetta Carmi sono diventate (finalmente) oggetto di grande attenzione. Nel 2010 il film di Daniele Segre Lisetta Carmi, un’anima in cammino è presentato alla 67esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Nel 2016 le vengono assegnati il Premio Mediterraneum e il Premio Marco Bastianelli. Tante le mostre a lei dedicate, le ultime nel 2021 al Macte di Termoli, al Man di Nuoro, nel 2022 a Palazzo Ducale di Genova e l’ultima appena conclusa lo scorso 12 giugno al complesso di Sinagoga e Musei della Comunità Ebraica di Casal Monferrato.
Foto copertina: Lisetta Carmi, I travestiti, Cabiria, 1965-1970 © Lisetta Carmi-Martini & Ronchetti, courtesy archivio Lisetta Carmi