Amanti del cibo? Innamorati in cucina e Squiseat sono per voi
Due giovani realtà bolognesi sono in grado di fare venire l’acquolina in bocca tra consigli di locali e piatti da poter acquistare a metà prezzo
di Medea Calzana
Sono i primi weekend in zona bianca e, pioggia permettendo, i tavolini dei ristoranti si riempiono. Il pranzo fuori, l’aperitivo o la cena in quel locale o in un altro non è solo un capriccio dopo un tempo di restrizioni, ma è anche il recupero di riti e significati che fanno parte del Dna della nostra cultura.
E c’è un’aria di fermento in questi giorni: le piazze si ripopolano, si mangia e si chiacchiera. Intanto i ristoratori si riorganizzano: dehors, tavolini, spazi all’aperto ricavati, a volte, al margine della strada. Tutto per ospitare quante più persone possibile.
E anche per Federica che ha creato “Innamorati in cucina”, un blog sul cibo e i locali bolognesi, ricomincia quella che era la sua routine prima della pandemia: andare a scoprire e raccontare i ristoranti della città e dintorni. Tanti le stanno scrivendo per chiedere: «Dove ci consigli di mangiare per un weekend a Bologna?».
E così Federica snocciola nomi, ma senza esagerare: «Meglio dare un’opzione di scelta non troppo ampia. Ormai conosco moltissimi posti, ma per una richiesta di questo tipo i primi tre che mi sono venuti in mente sono: “Oui in cucina” un bistrot che organizza anche picnic, “Trattoria la Montanara” una bottega storica in Via Righi e il ristorante “Cesarina” anche questo in pieno centro».
Innamorati in cucina, con i suoi quasi 14mila follower su Instagram, è diventato un punto di riferimento per i giovani e meno giovani appassionati di buona tavola. L’avventura è iniziata nel 2018, come progetto per un esame del professore Roberto Cobianchi, Teorie e tecniche dei media, del Dams. Ma è anche stata la sua grande passione per il cibo a farla arrivare dov’è oggi: «Quando ero piccola, sul seggiolone, sfogliavo giornali di cucina. Mi ricordo di un ricettario del frullatore: quando ci penso, sento l’odore di quelle pagine, ricordo il loro spessore e i colori sgargianti dei cibi. C’era da capirlo subito che l’amore per il cibo sarebbe stato parte della mia vita. Ci sono alcuni di quei piatti che ho sempre e solo visto nelle riviste, ma mai provato. Poi d’un tratto, sono diventata grande, ho indossato un grembiule e ho cucinato».
Sul blog e sui social che gestisce, Federica racconta e condivide le storie di tanti locali di Bologna attraverso la sua esperienza e il suo punto di vista. È riuscita a creare, così, un rapporto di autenticità e di fiducia con la sua community.
E proprio con le riaperture il “corri-corri” generale per prenotare un tavolo può esserci l’occasione per scoprire i consigli di Innamorati in cucina. E recuperare, finalmente, un po’ la “dolce vita” italiana, che ha fatto scuola nel mondo e in tanti ci invidiano. E costituisce, inoltre, un importantissimo settore economico del nostro Paese. Prima della pandemia, infatti, erano censite circa 350 mila aziende del settore, la gran parte piccole o piccolissime, ma con più di 700 mila dipendenti e un fatturato che sfiora gli 80 miliardi: in nessun altro Paese europeo sono così tante. Ma ovviamente le restrizioni contro la diffusione del Coronavirus hanno messo a dura prova il settore.
Ma il cibo è anche cultura, se la si intende da una prospettiva antropologica per cui consisterebbe in qualsiasi capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società.
È inoltre elemento chiave della città, detta la “Grassa”, anche perché: «Fin dal 1300 il panorama culinario bolognese è costellato da numerose osterie, simbolo della convivialità e delle abitudini goderecce dei suoi cittadini – scrive la blogger –. Già nel 1396 in città esistevano 32 osterie, locande dove forestieri, artisti, popolani e borghesi potevano trovare alloggio e ristoro. Interessante è l’aneddoto secondo cui, nel 1700, Giuseppe Maria Mitelli creò il “Gioco delle osterie”, una sorta di gioco dell’oca con tutte le osterie note al tempo. Tra queste c’è anche “La Fontana” che oggi si trova in via Fondazza 83».
Quali sono alcuni dei locali suggeriti da Federica? Ce ne sono tantissimi ma prendete carta e penna e, tra gli altri, segnatevi questi: si comincia con un aperitivo sui colli bolognesi da Fienile Fluò, si continua poi con la possibilità di scegliere tra tradizione, pesce o pizza. Dipende dai gusti: nel primo caso si può visitare il borgo di San Pietro a Ozzano e fermarsi all’Osteria San Pietro, nel secondo è da provare Scampo Pescheria Moderna in via Galliera e in caso di voglia di “Napoli” si può provare da Pummà Pizza in via Sant’Isaia.
Con il Coronavirus, Federica ha sentito l’esigenza di raccontare anche questo importante cambiamento per la città e la sua cultura gastronomica. E quindi sul suo blog è nata la rubrica “La convivialità ai tempi del Coronavirus” che dà voce ai ristoratori: le storie, le preoccupazioni, le difficoltà del settore del food raccontate da chi le sta vivendo.
Ma è bene tenere presente che «le difficoltà dei locali si trasferiscono a cascata sulle 70mila industrie alimentari e 740mila aziende agricole lungo la filiera impegnate a garantire le forniture per un totale di 3,6 milioni di posti di lavoro – rileva Coldiretti – La filiera agroalimentare nazionale vale 538 miliardi, pari al 25% del Pil nazionale».
Infatti, con le misure anti-Covid previste dall’ultimo decreto, per tutto il mese di aprile salgono a più di un milione di tonnellate i cibi e i vini invenduti dall’inizio della pandemia per il crollo delle attività di bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e agriturismi.
Oltre a questo, si aggiunge il problema dello spreco alimentare: visto il continuo apri e chiudi dei ristoranti, che fine fanno le scorte scongelate o i cibi preparati e poi invenduti?
Uno spreco con cui ci si confronta da moltissimi anni; per questo Innamorati in cucina ha dato spazio a un altro progetto 100% made in Bologna e da giovani informatici dell’Alma Mater: ovvero “Squiseat”, un’applicazione per il cellulare, per ridurre gli sprechi alimentari. È facile da scaricare direttamente dal sito: www.squiseat.it, oppure su App Store e Google Play Store.
«Squiseat è una piattaforma che mette in vendita a metà prezzo, a fine giornata, i prodotti rimasti invenduti di ristoranti, forni e servizi di catering – scrive la blogger di Innamorati in cucina – I ricavi vengono divisi tra la piattaforma e il produttore, il quale riesce così a evitare lo spreco alimentare, ricevendo un ritorno economico e rendendo soddisfatto il cliente che ha accesso a prodotti di qualità a prezzi vantaggiosi».
Il nome deriva dall’unione di “squisito” e “eat”, ovvero mangiare, e permette di acquistare al 50% del prezzo prodotti gourmet e gustosi che rimarrebbero invenduti. Come? Basta inserire nel motore di ricerca il proprio indirizzo per trovare i locali più vicino che aderiscono all’iniziativa.
«Facciamo incontrare l’offerta dei locali che hanno delle rimanenze a fine giornata, con la domanda di persone che desiderano mangiare cose buone pagando di meno», racconta uno dei quattro fondatori, Alberto Drusiani, ceo di Squiseat. Il modello non è nuovo: perché in Italia c’è già un’iniziativa di questo tipo come “Toogoodtogo”, l’azienda danese che conta tre milioni e mezzo di utenti sul nostro territorio. Ma Squiseat è un’idea nata nel 2019 e che piano piano si è evoluta fino a lanciare l’app a fine marzo.
Ed è stata probabilmente la prima app bolognese che, prima della diffusione di “Toogoodtogo”, si è occupata del recupero di alimenti. I quattro fondatori sono giovani informatici dell’Alma Mater. Oltre a Drusiani, ci sono Luca Morosini, Gabriele Calarota e Ossama Gana. Ma in cosa si differenzia l’app delle Due Torri rispetto a quella nordica? Intanto il cliente può scegliere, vedendo i prodotti descritti dal locale, cosa compare. Non è così con il colosso danese: in questo caso, infatti, si può solo comprare il “pacco” senza sapere prima cosa c’è dentro. «Questo permette di evitare ulteriore spreco: magari una persona è vegetariana e quello che gli arriva nella box non può mangiarlo», spiega l’amministratore delegato della startup.
Inoltre, si punta sulla realizzazione di un sistema di consegne etico: «La vera differenza la faremo quando potremo fare un servizio di consegna a casa senza, però, perdere in eticità. Ora stiamo pensando come garantire la soddisfazione del cliente nel vedere arrivare a casa ciò che ha ordinato e, contemporaneamente, tutelare i diritti dei lavoratori». I locali ora coinvolti sono 35, «ma puntiamo a raggiungere la massa critica di un centinaio fra panifici, rosticcerie, pastifici, ecc.», conclude Drusiani.
Le parole chiave di Squiseat sono quindi: territorio, valore, etica e innovazione digitale. Tutto ciò che è utile per promuovere un’economia e una cultura del cibo diversa e migliore visto che, in tutto il mondo, ogni anno viene sprecato un terzo delle risorse alimentari prodotte.