Benessere: una responsabilità condivisa
Il tema del benessere aziendale, e del ruolo delle organizzazioni per garantirlo, è sempre più centrale. Ma a cosa ci riferiamo esattamente quando parliamo di benessere lavorativo? E soprattutto: chi ne è responsabile? Ne abbiamo parlato con la prof.ssa Paola Villano, psicologa sociale, delegata del rettore al Benessere lavorativo.
Le condizioni emotive dell’ambiente in cui si lavora, un clima che stimoli la creatività e la crescita, la piacevolezza, oltre che naturalmente la sicurezza degli ambienti di lavoro, sono determinanti in una organizzazione. La motivazione, la collaborazione, il coinvolgimento, la corretta circolazione delle informazioni, la flessibilità e la fiducia delle persone sono tutti elementi che contribuiscono a migliorare la salute fisica e psichica dei lavoratori e, al contempo, oramai dato di dominio pubblico, ad aumentare grandemente la produttività dell’intero sistema.
Da un recente studio del Mit (Massachusetts institute of technology) e Harvard è emerso che quando i dipendenti sono felici la loro produttività aumenta del 31% e la creatività del 55%. Inoltre, questi sono meno soggetti ad ammalarsi e assentarsi.

Il tema del benessere aziendale, e del ruolo delle organizzazioni per garantirlo, è quindi sempre più centrale. Ma a cosa ci riferiamo esattamente quando parliamo di benessere lavorativo? E chi ne è responsabile? Ne abbiamo parlato con la prof.ssa Paola Villano, psicologa sociale, delegata del rettore al Benessere lavorativo, funzione che riguarda le azioni di supporto, promozione e valorizzazione delle migliori condizioni di lavoro.
«Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – precisa la prof.ssa Villano – si definisce luogo di lavoro sano quello in cui lavoratori e dirigenti, sulla base dei bisogni espressi, collaborano attivamente nell’ambito di un processo di continuo miglioramento per tutelare e promuovere la salute, la sicurezza e il benessere di tutti i lavoratori nonché la sostenibilità dell’azienda”. L’Oms, inoltre, specifica che nella valutazione delle attività volte al benessere dei lavoratori è necessario includere sia fattori di rischio fisico (come spazi di lavoro non adeguati), sia fattori di rischio psicosociale » E sono relativi, ad esempio, all’inadeguatezza dell’organizzazione del lavoro o della cultura aziendale per un determinato lavoratore.
Da questa definizione emerge quindi che il concetto di ‘benessere sul lavoro’ presenta anche degli elementi legati alla soggettività di ogni individuo. Ciascuno ha la propria idea di benessere, così come ognuno ha i propri bisogni e aspirazioni. Pertanto, per quanto l’azienda possa adottare le buone pratiche suggerite dall’Oms, e per quanto sia innegabile che il datore di lavoro svolga un ruolo fondamentale nella costruzione del benessere sul lavoro, anche i dipendenti, e soprattutto i dirigenti rivestono una parte importante.
«Il benessere sul lavoro – prosegue la docente delegata del rettore – è certamente una responsabilità condivisa: organizzazione, dipendenti, dirigenti, ciascuno ha un ruolo da svolgere. Oltre agli obblighi normativi, l’Università di Bologna ha recentemente rafforzato l’obiettivo di favorire condizioni di benessere lavorativo, investendo in azioni volte alla diffusione di una cultura solidale che ponga quanto più possibile ‘le persone al centro’. Naturalmente l’Ateneo è coinvolto anche negli aspetti connessi alla valutazione del benessere, come ad esempio le indagini sul clima lavorativo, e negli specifici progetti o azioni volti alla riduzione delle discriminazioni o alla conciliazione della vita privata con il lavoro. Un ottimo punto di partenza è permettere a ciascuno di conoscere meglio sé stesso, i propri talenti e le proprie potenzialità, così da comprendere se le mansioni svolte rappresentano uno stimolo o una fonte di demotivazione e individuare le migliori competenze da sviluppare per sfruttare il proprio potenziale. A questo scopo, può rivelarsi strategico e dirimente il ruolo di chi ricopre posizioni apicali».
Tra le progettualità più recenti attivate da UniBo, vale la pena segnalare il debutto di ‘Avrò cura di me’: si tratta di un servizio di supporto psicologico per prendersi cura di sé stessi e del proprio benessere, gratuito e aperto a tutto il personale dell’Ateneo, inclusi gli assegnisti di ricerca. «Questo servizio – specifica la prof.ssa Villano – si propone più precisamente di offrire ascolto, accompagnamento e supporto nell’affrontare e gestire il sovraccarico emotivo e le difficoltà relazionali che si possono presentare nei vari ambiti della sfera affettiva e sociale, compresa quella lavorativa, e si concretizza in un intervento breve di supporto psicologico clinico, da realizzarsi al più in quattro incontri individuali».
Nella direttiva ‘Benessere organizzativo’ si parla, tra gli altri, di un aspetto fondamentale. Oltre all’insieme di ambienti e relazioni adatti a contribuire al miglioramento della qualità della vita lavorativa, viene richiamata l’importanza della diffusione della cultura della partecipazione, quale presupposto dell’orientamento al risultato, al posto della cultura dell’adempimento. Come i laboratori cogestiti, spazi aperti, come ci insegna il prof. Corazza, che consentano di poter esprimere creatività e soluzioni.
«Potremmo certamente diffondere a più livelli i percorsi di accompagnamento e di crescita finora realizzati – conclude la delegata del rettore – per chi ricopre posizioni di vertice. Un esempio: la possibilità di incontro a prescindere dai ruoli aziendali attraverso laboratori autogestiti o cogestiti dai dipendenti, centrati sulla qualità delle relazioni o sulla partecipazione alle decisioni; la possibilità di proporre soluzioni; la possibilità di conoscere e confrontare le situazioni di altri enti scoprendo gli elementi vincenti di clima che li caratterizzano; le indagini sul benessere organizzativo con la possibilità di discutere e confrontarsi sui risultati».
Il benessere sul lavoro, dunque, è caratterizzato da questi presupposti, e va inteso non solo come uno stato mentale e psicologico, ma come un processo che preveda il coinvolgimento di tutti, ognuno nella propria posizione.
«Un ruolo chiave – termina la prof. Villano – a livello sia preventivo sia di diffusione della cultura della partecipazione, è giocato da chi ricopre posizioni di coordinamento e di responsabilità, contribuendo in maniera sostanziale a plasmare l’ambiente psicosociale di lavoro sperimentato dai propri collaboratori. Per questo ci siamo riproposti, assieme al Cug (Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni nel lavoro), di focalizzare prioritariamente gli interventi formativi proprio sulle figure apicali. Bisogna sempre cercare di valorizzare quanto ciascuno abbia di positivo e possa dare all’intera comunità dell’Alma Mater».