Bologna, capitale dei radiofarmaci
di Lorenzo Monaco
Una cittadella della scienza sulle montagne bolognesi, capace di attirare ricercatori, investimenti e tecnologia: è questa la visione targata ENEA e presentata al pubblico il 4 maggio sulle rive del lago di Brasimone alla presenza di cittadini, politici e imprenditori. Un’iniziativa che passa da un’avventura scientifica straordinaria – quella della fusione nucleare applicata alla medicina – e che ha generato un accordo quadro con l’Università di Bologna, modello per la creazione di un futuro network di ricerca.
Dall’Appennino da anni si assiste ad un drenaggio cronico di persone, un’osmosi che riempie le città e svuota le valli. Uno scenario fosco, ma che potrebbe cambiare colore, a sentire le idee che stanno nascendo al Centro ENEA sul lago Brasimone e che vogliono traghettare nei prossimi anni milioni di euro, persone e conoscenza a pochi chilometri da Castiglione dei Pepoli, nel territorio di Camugnano.
L’opportunità per le montagne bolognesi nasce da una crisi, una crisi lontana. Siamo in Ontario, Canada, dove è stato appena chiuso un vecchio reattore nucleare risalente alla fine degli anni ’50. Una dismissione naturale e auspicata, eppure la notizia della chiusura da 10 anni agita l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Un allarme giustificato: l’impianto canadese era uno infatti dei tre più importanti produttori mondiali di tecnezio-99. Gli altri si trovano nei Paesi Bassi e in Sud Africa, tutti reattori risalenti ai primi anni ’60 il cui futuro è piuttosto incerto. L’allarme nasce dal fatto che il tecnezio è uno dei principali radionuclidi utilizzati in medicina. Si usa in diagnostica: iniettato in quantità moderate in un corpo umano è in grado di visualizzare tessuti malati tramite tomografia SPECT. Ogni anno il tecnezio permette circa 30 milioni di queste analisi in tutto il mondo. Ed è sempre più richiesto. O meglio: è sempre più richiesto il suo padre radioattivo, il più trasportabile molibdeno-99 (il molibdeno decade in tecnezio in circa 66 ore, mentre il tecnezio ha vita brevissima): isotopo che va prodotto in una centrale
nucleare a fissione. Finora. Perché l’ENEA, appresa la notizia della crisi di produzione dei radiofarmaci, ha deciso di produrre molibdeno-99 tramite fusione nucleare. La fusione è il contrario della fissione: se nella seconda gli atomi si spezzano in frammenti più piccoli per produrre energia – tecnologia alla base delle centrali nucleari e delle testate atomiche – nella fusione gli atomi vengono spinti l’uno verso l’altro per creare qualcosa di più grande e pesante. È quello che accade nel sole, dove l’idrogeno si trasforma nel più pesante elio rilasciando, come sottoprodotto, dei neutroni liberi. Ed è quello che un consorzio internazionale – seguito per l’Italia da ENEA – sta cercando di fare coi progetti ITER e DEMO: fondere due isotopi di idrogeno (deuterio e trizio) per ottenere neutroni energetici in grado di produrre vapore per muovere turbine elettriche: il Graal dell’energia, un processo che senza produrre scorie nucleari trasforma semplice acqua, fonte di idrogeno, in elettricità. E che naturalmente è ancora impossibile da mettere in pratica coi tempi e modi necessari per creare una quantità di energia sufficiente.

Eppure la fusione è già realtà. Nella sede ENEA di Frascati, sulle colline sopra Roma, esiste FNG, una grande macchina che getta deuterio sul trizio, ricavandone neutroni. Da qui l’idea: usare i neutroni da fusione per irradiare molibdeno naturale (si estrae dalle miniere) e produrre molibdeno-99. Un’idea appena verificata sperimentalmente. FNG infatti ha dimostrato di produrre radiofarmaci con una purezza adeguata. Questa evidenza scientifica è il trampolino di lancio dell’area del Brasimone.
Nel grande centro ENEA sulle rive del lago dovrà infatti essere progettato e installato Sorgentina-RF, un macchinario simile nel funzionamento a FNG, ma molto più grande e complesso. Si prevede che Sorgentina-RF possa potenzialmente produrre circa il 10% del fabbisogno mondiale di molibdeno/tecnezio. Lo scenario ha già attirato l’interesse di grandi investitori privati. Ma le prime a crederci sono state le Regioni Emilia-Romagna e Toscana che hanno firmato un piano di intesa quinquennale rinnovabile per attirare investimenti. Viale Aldo Moro ha già immaginato incentivi per imprese e start-up, stanziando inoltre 3 milioni e mezzo di euro per iniziative di alta tecnologia da destinare al centro, con lo scopo di moltiplicare l’effetto dell’investimento con l’indotto. Non si parla solo di Sorgentina – la fetta più grossa del piano di potenziamento – ma anche di progetti relativi all’energia da fusione, all’uso di neutroni nella radioterapia, a tecnologie per la sicurezza degli impianti nucleari, ad esempio tramite l’uso di droni. Ma naturalmente la tecnologia e i fondi sarebbero materia inerte senza le persone. Per questo il Centro del Brasimone si candida a diventare un attrattore di cervelli. La Città metropolitana e i Comuni dell’area stanno ragionando su come rendere attrattivo il territorio per i ricercatori e le loro famiglie. Ma i rilancio dovrà necessariamente passare dalla creazione di un network con altri centri di ricerca, università, aziende ospedaliere. Il primo ente a cercare sinergie è stata l’Università di Bologna con un accordo quadro appena firmato che vedrà messi in campo fondi e borse di studio nel campo della tecnologia nucleare e della diagnostica medica. L’ateneo di Pisa seguirà a ruota.