Chi ha ucciso i Neanderthal? UniBo indaga
di Lorenzo Monaco
L’Uomo di Neanderthal è scomparso per via dei cambiamenti climatici? Una recentissima ricerca guidata da scienziati dell’Alma Mater è riuscita a ricostruire dettagliatamente il paleoclima dell’ultima era glaciale, assestando un duro colpo ad una teoria che suscita attualmente parecchio consenso tra gli studiosi.
Chissà se, attorno ad un fuoco, i Neanderth al si sono mai raccontati di quella scimmia brutale e intelligente che si dice arrivasse nella notte distruggendo i villaggi e sterminandone gli abitanti. Forse no. Forse Homo sapiens non è mai stato un pericolo per i Neanderthal e le due specie hanno convissuto pacificamente – magari come due gruppi diversamente umani, capaci di intessere relazioni e matrimoni misti – e l’estinzione dei nostri cugini è dovuta ad altro. Chissà: una coltre di nebbia copre tutte le storie prima della Storia. Eppure la scienza sta provando a diradarla, un frammento alla volta. Sappiamo, ad esempio, che Homo neanderthalensis e Homo sapiens sono stati spesso intimi, scambiando i propri geni (il nostro genoma è circa per il 2% neanderthaliano); sappiamo che nei nostri mitocondri, organelli cellulati ereditati per linea materna, non c’è alcuna traccia genetica dei nostri cugini e che quindi, forse, i rapporti sono avvenuti soprattutto tra maschi neanderthaliani e femmine sapiens; sappiamo che i Neanderthal erano avanzati tecnologicamente (producevano strumenti litici e corde intrecciate), ma che forse non lo erano cognitivamente.
Tanti sono i “forse”, ma quel che è certo è che circa 42mila anni fa, i Neanderthal sparirono dalla faccia della Terra, in concomitanza con l’avvento dell’ultima era glaciale. Da qui la conseguenza: il clima diventato più freddo e arido in una manciata di secoli ha sfavorito i nostri cugini rispetto ai nostri diretti antenati. Molti studiosi ne sono convinti. Un recentissimo studio guidato da un team di scienziati dell’Università di Bologna però ha voluto verificarlo nell’area del mediterraneo.
Gli studiosi hanno approfittato di un’area eccezionale, l’altopiano delle Murge, in Puglia. Qui le due specie di uomo hanno convissuto per almeno 3mila anni, da 45mila a 42mila anni fa circa, proprio il periodo in cui i nostri cugini sembrano svanire.

E nel sottosuolo delle Murge sono disponibili veri e propri giacimenti di dati climatici, risalenti a decine di migliaia di anni fa. Si tratta di stalagmiti, le punte di roccia che emergono dal fondo delle grotte carsiche così abbondanti nella zona. “Le stalagmiti sono degli eccellenti archivi paleoclimatici e paleoambientali – ha spiegato Jo De Waele, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna – La loro formazione necessita l’infiltrazione di acqua piovana dall’esterno e questo le rende quindi un’evidenza indiscutibile della presenza o assenza di pioggia; inoltre, gli isotopi del carbonio e dell’ossigeno della calcite di cui sono composte danno indicazioni sullo stato del suolo e sulla quantità di pioggia durante tutto il loro periodo di formazione. Tutte queste informazioni possono poi essere intrecciate con datazioni radiometriche che permettono di ricostruire con precisione nel tempo le diverse fasi di crescita delle stalagmiti”.

Tra questi coni calcarei che conservano la memoria del territorio, uno si è rivelato particolarmente loquace: una stalagmite di 50 centimetri situata nella grotta di Pozzo Cucù nei pressi di Castellana Grotte che, interrogata con 27 datazioni ad altissima risoluzione e circa 2.700 analisi degli isotopi stabili del carbonio e dell’ossigeno, è riuscita a rispondere in merito al clima in cui è cresciuta (tra 106mila e 27mila anni fa: un vero e proprio record per un archivio paleoclimatico). Con una rivelazione piuttosto sorprendente: in quel periodo, non c’è stato nessun calo significativo delle precipitazioni e il suolo e la vegetazione sono rimasti sempre se non uguali, analoghi. In breve, il clima non è cambiato. “È dunque inverosimile che siano state drastiche variazioni del clima ad indurre la scomparsa dei neanderthaliani in Puglia e, per estensione, in aree climatiche mediterranee simili”, ha concluso il ricercatore Andrea Columbu, primo autore dello studio. La ricerca ha così intaccato pesantemente teoria climatica che altrove sembra spiegare bene l’estinzione dei Neanderthal.
Questi risultati, pubblicati sulla rivista di Nature Ecology & Evolution, rimettono però sul tavolo del dibattito un’altra ipotesi, quella tecnologica. “Secondo questa teoria sarebbe stata in particolare la tecnologia di caccia, molto più avanzata per l’Homo sapiens rispetto al Neanderthal, ad aver contribuito in maniera primaria alla supremazia del primo rispetto al secondo – ha spiegato il paleoantropologo UniBo Stefano Benazzi, anch’egli autore dello studio – inducendo così la scomparsa dei neandertaliani dopo circa 3.000 anni di convivenza fra le due specie”.
Una teoria che considera Sapiens e Neanderthal come due specie animali che hanno insistito sulla medesima nicchia ecologica, in un’accesa competizione per le risorse. La nebbia persiste ancora, ma qualcosa stiamo riuscendo a scorgere.