Claudio Pesci: presente, memoria e passioni ai tempi della pandemia
di Sara Biagi
Nella prospettiva di una possibile, nuova fase di chiusura, ci sentiamo più pronti ad affrontare l’isolamento? I mesi trascorsi forzatamente a casa la primavera scorsa ci hanno dato spunti di riflessione, acceso interessi o risvegliato passioni sopite, complice l’inaspettata disponibilità di tempo che la pandemia ci ha offerto? Si è trattato di una gabbia o di un’opportunità, o forse di entrambe le cose?
Per alcuni la risposta è piuttosto scontata. Incredibile la produzione artistico-culturale elaborata in questo periodo, in cui i ritmi quotidiani, drasticamente dilatati e lenti, hanno permesso di ascoltare in profondità le risonanze delle proprie emozioni; di sviluppare discorsi sospesi o di elaborarne di nuovi, in attesa di metterli a punto insieme ad un gruppo di lavoro e in luoghi di produzione rimasti a lungo interdetti.
Molti bei dischi sono usciti negli ultimi tempi, ad esempio; ne citiamo uno per tutti, scelto per lo spessore musicale, l’onestà emotiva e lo splendido modo di raccontare storie per immagini e note in questo periodo così bisognoso di narrazioni: si tratta di “Cinema Samuele”, in cui Bersani ci presenta brani che sono film musicati nella sua testa e che tanto devono alle suggestioni del cinema. Un album per vari motivi atteso per sette lunghi anni e che è stato presentato proprio alla fine di questi tormentati mesi.
Ma queste righe ci introducono in un’altra storia, permettono di entrare in un altro interno, l’interno numero 13 di un palazzo in Bolognina, dove un pittore ha raccontato attraverso i suoi dipinti i fatti del presente, la memoria del passato e le passioni senza tempo. Alla ricerca delle risorse interiori da cui attingere la forza per affrontare un periodo denso di difficoltà. Ne è nata una raccolta di ventitré acquerelli dal titolo “Interno 13 – Tempo di Covid-19”, momenti disegnati e dipinti da Claudio Pesci.

Inizio del primo atto, i riflettori si accendono sul tavolo dell’artista. Il primo quadro ad essere stato realizzato, Adda passa’ a nuttata, è una fotografia di ciò che egli ha scelto di tenere accanto nei giorni di isolamento. Libri, dischi, giornali mescolati a fazzoletti, disinfettante e pastiglie antipiretiche; pronti all’uso alla sua destra il telefono, diventato indispensabile per mantenere i contatti col mondo esterno e gli “strumenti del mestiere”, acquerelli e pennelli, la via di dialogo con l’interiorità.
Approcciandoci a questa non casuale mediateca privata si viene presi da una stuzzicante frenesia di ricerca di nomi e riferimenti all’interno della complessa e ordinata rete grafico-cromatica, come in certi giochi enigmistici a caccia di particolari nascosti. Si individuano libri di storia e di poesia, saggi e memorie, testate di quotidiani, echi di film, il tutto come se passasse in sottofondo la musica di Dalla e dei cantautori i cui cd giacciono sparsi tra gli altri oggetti sul piano, la voce di Mina e Pavarotti, Elvis e Dulce Pontes.
È insomma una carrellata di tutte le cose e le persone che hanno tenuto compagnia all’artista, di chi avrebbe voluto avere vicino e di chi ha sentito tale; è un accumulo di riferimenti e risonanze del cuore, che non è soffocante ma conciliatorio come l’abbraccio dei propri affetti.
La composizione è ulteriormente arricchita dall’introduzione dell’elemento temporale, attraverso l’espediente della replicazione – il quadro nel quadro nel quadro (particolarmente evidente se si osserva lo smartphone): un tempo infinito, che rispecchia l’incertezza del non sapere quanto sarebbe durata la condizione di sospensione in cui eravamo immersi.
Questo pannello rappresenta infine una sublime sintesi di quello che Pesci dipingerà a seguire nei giorni di reclusione dovuta al Corona virus, protagonista dietro le quinte di altri due quadri di forte impatto: quello della cesta con la spesa sospesa, dove alla Nutella e alla pasta Barilla si mescolano il Pioniere (la rivista per bambini illustrata da Gianni Rodari, di cui nel 2020 si festeggia il centenario della nascita) e la Gabbianella e il gatto di Sepulveda, il compianto scrittore cileno vittima della pandemia; e Il passaggio o lunedì degli angeli, che altro non sono che gli infermieri, con tuta e mascherine, impegnati nell’assistenza di un’anziana malata collegata all’ossigeno.
I mesi di chiusura hanno stravolto il modo di celebrare le ricorrenze che si sono susseguite, momenti di socialità e condivisione vissuti in questo 2020 entro le proprie quattro mura. È stato così per la Pasqua, che Pesci evoca attraverso un piatto coi prodotti tipici della colazione pasquale bolognese, uova e salame “protetti” nella confezione di plastica, insieme ai dispositivi di protezione ai quali ci siamo dovuti abituare, mascherina chirurgica e guanti.
Reca la data del 25 aprile, giorno della Liberazione, l’anello che indossa un anziano la cui mano poggia sullo stemma della Repubblica Italiana sfiorando quella di un uomo più giovane. È un’immagine densa di rimandi alla relazione padre-figlio: un padre di cui si scorge la manica del pigiama a righe, sinistramente simile ai desolanti abiti dei prigionieri di guerra o in campo di concentramento, e un figlio della repubblica, che invoca col braccialetto che ha al polso “libertà per Giulio Regeni”. In parallelo, la riflessione su come la liberazione sia il parto di una forma di governo democratico figlia delle lotte partigiane – il fazzoletto rosso è quello della Brigata Garibaldi, tra le più attive dell’Appennino tosco-emiliano, che ebbe un ruolo cruciale nel processo di trasformazione. Il tutto, sotto lo sguardo amorevole e determinato di una madre, ritratta in una foto col timbro dell’A.N.P.I.
Ecco quindi che la memoria storica, di cui si avverte profonda necessità in una fase di generale confusione e dispersione di valori, si allaccia alla lotta sociale e al suo richiamo viscerale, prepotente in un periodo gravido di tensioni.
Sopite, o quantomeno contenute entro le pareti domestiche, il primo di maggio quando a girare per le strade si aggiravano quasi solo i rider con il loro carico di pizze e altre vivande pronte a riempire i nostri stomaci. È amaramente provocatoria la raffigurazione del fattorino di spalle, che nella notte cittadina pedala con solerzia in sella alla propria bici, il contenitore da asporto quasi più grande di lui e quegli adesivi del tanto atteso concertone promosso dai Sindacati – piazza San Giovanni a Roma deserta, la musica nelle nostre case fatta di frammenti realizzati dagli artisti nella nostra stessa condizione – e delle competizioni ciclistiche più attese che scandiscono la primavera sportiva.
Non a caso, il protagonista di questo primo maggio è un addetto alle consegne a domicilio, tra le categorie più attive nel periodo di stasi e al contempo più sfruttate. Insieme a questa, vengono citati musicisti e sportivi e tutto il personale che gravita intorno agli eventi che li vedono protagonisti, abbandonati dal sistema in una complicata fase di crollo drastico della loro attività.
Se finora nel nostro paese le tensioni serpeggianti hanno trovato sfoghi per lo più civili attraverso contenute e sporadiche manifestazioni nelle piazze, diversamente è accaduto in altre parti del mondo dove l’ostilità ha radici secolari e i suoi effetti generano esiti drammatici.
Ci sono voluti 8.46 minuti perché l’agonia di George Floyd avesse termine; quasi nove lunghi minuti di soffocamento in seguito al suo arresto da parte di quattro poliziotti a Minneapolis. Il 25 maggio scorso un cittadino statunitense, afroamericano, è stato vittima di un abuso di potere aggravato da componenti razziali. Dopo questo fatto, e a decine e centinaia e migliaia di altri che da tempo immemore alimentano l’odio nella vasta e progredita democrazia USA, la rivolta ha riempito le strade ed è confluita nel movimento, diffusosi a livello internazionale, del “Black lives matter”.
Floyd/Floid, come la marca di uno storico dopobarba con spruzzatore a pompetta, che nel quadro di Pesci ha sull’etichetta il volto del 46enne rapper ucciso e il cui tubicino di collegamento con la camera d’aria è stato reciso da un cutter a stelle e strisce. George Floyd, morto per insufficienza respiratoria – soffocato, la gola schiacciata sotto il ginocchio del suo boia – come le vittime del Covid-19.
L’attualità irrompe violenta sui nostri schermi di reclusi e si rispecchia nelle tavole di Claudio, dove richiami e rimandi si rincorrono, ci tengono vigili, a volte ci fanno disperare ed altre ci avvolgono, comunque sempre fanno lavorare le nostre teste e in tante forme ci accompagnano nella nostra solitudine.
Così abbiamo appreso della morte di Ibrahim Gokcek, bassista turco in sciopero della fame da 323 giorni per protesta contro un regime che da anni vietava i concerti del suo gruppo, imponendo severe limitazioni alla libertà di espressione. In una lettera pochi giorni prima di morire scriveva: “Sono sempre stato un musicista, e ora mi ritrovo a essere un terrorista”.

Il suo corpo scheletrico impressiona l’immaginario di Pesci insieme al ricordo di altre vittime innocenti, punite da miseri dei in terra per la forza dei loro ideali. Nel quadro intitolato Radio Aut troviamo la terrazza dello studio da cui trasmetteva Peppino Impastato, ucciso dalla mafia per averne denunciato con sagacia e determinazione le nefandezze; la Renault 4 rossa in cui venne ritrovato il cadavere di Aldo Moro, vettura simbolo degli anni di Piombo, simbolicamente schiacciata dalle macerie del crollo della stazione di Bologna per la bomba del 2 agosto 1980; e il viso scavato di Gokcek, simbolo delle tante vittime del regime turco, su un telo appeso alla facciata del palazzo.
Nella foga di rincorrere l’eco delle tematiche dei quadri e per lasciare che l’approccio avvenisse innanzitutto attraverso l’esplorazione delle sue produzioni, non abbiamo ancora detto nulla di Claudio Pesci. Per parlarvi di lui, prenderemo a prestito le parole di Albe Ros, che ne ha curato la breve biografia di presentazione nel catalogo accompagnatorio alla prima uscita in pubblico di questi quadri. Uno spaccato semplice e sintetico, che ben coglie lo spirito dell’artista:
[…] Claudio è nato a Trebbo di Reno, non è più un giovanotto, ma resiste con tenacia al passare degli anni. Il non essere più giovanissimo gioca a suo favore, in quanto il tempo trascorso gli ha permesso di accumulare esperienze molto significative. A partire dagli studi, nazionali e internazionali, con alcuni dei più importanti maestri dell’epoca. La sua carriera professionale inizia come grafico (per trent’anni a servizio dell’amministrazione comunale di Bologna) e illustratore, arrivando a collaborare con la rivista “Magazine”, settimanale della Gazzetta dello Sport. Questo ruolo, seppur di prestigio, però gli va stretto. Claudio ha l’animo del pittore, in particolare acquarellista, ed è in questa veste che raccoglierà le maggiori soddisfazioni. Un pittore particolare, di grande sensibilità, che ha sempre legato i suoi lavori ad argomenti strettamente inerenti il sociale e l’attualità.
La sensibilità di Claudio si rispecchia in quella cromatica del suo pennello e, a sua volta, va di pari passo con l’attenzione con cui analizza i temi e l’indiscutibile perizia grafica con cui li disegna. La sua tecnica è personalissima e rappresenta una cifra stilistica che condensa in linee e colori il suo modo di vivere l’arte.
Prendiamo ad esempio il pannello realizzato in occasione della festa della Mamma, figura omaggiata di un sontuoso mazzo di sirene e tulipani, messi in acqua in un vaso che reca l’immagine dell’abbraccio tra Silvia Romano, la giovane cooperante liberata dopo un anno e mezzo di prigionia in Africa tra Kenya e Somalia, e la propria madre.
I fiori sono un soggetto caro all’artista, che nel 2007 ha dedicato all’universo femminile una mostra di acquerelli a tema floreale. Nature morte che permettono di esercitare al meglio l’abilità grafica nel disegno ed assaporare il gusto del colore, creando col segno di matita una gabbia che frantuma in tanti piccoli tasselli le forme e argina la trasparenza liquida dell’acquerello.
Analogo pretesto formale viene dalle ceste, elemento ricorrente nelle sue composizioni: la cesta della famiglia Picciuolo con la spesa sospesa, quella della Repubblica, la cesta dei giochi di Giovanni, nipote dell’artista. Come se nel tracciare il ripiegarsi dei fuscelli di vimini, l’intreccio delle fibre e le delicate tonalità di beige e nocciola e bruni si esprimesse la complessità dell’esistenza nelle sue infinite sfumature, come nei petali di rose e lillà di cui l’arte può valorizzare la bellezza e trovare un ordine e una comprensione.
Lo stesso processo avviene con le strisce delle lenzuola e le frange multicolori che compongono i tessuti, a indagare tra le pieghe della vita. Si sofferma su questo aspetto, che definisce “natura morta grafica” il Prof. Eugenio Riccòmini, noto storico e critico d’arte, nella presentazione di questa raccolta; riguardo alla tecnica, scrive:
Egli usa il pennello, ecco, un po’ come Dürer usava il bulino, o la punta incisoria dell’acquaforte. Invece di allagare, di creare trasparenze e velature, e di poggiare tocchi brillanti ed estrosi sulla candida superficie, rallenta il passo, e si ferma a precisare, con quasi ostinata determinazione, forma e volume e tinta di ciò che vuole riprodurre.
Il professore introduce poi una corrispondenza tra Pesci e Wolfango, artista di enorme talento scomparso pochi anni fa, per la comune attitudine a guardare gli oggetti con una mentale lente d’ingrandimento in grado di creare magiche metafigure che scollinano in un’altra dimensione rispetto al reale. Pesci dedica un pannello anche al pittore bolognese, riproducendo uno dei pastelli su carta di Wolfango ispirato alle stagioni – rappresentate attraverso i loro frutti, in questo caso le zucche – secondo il proprio stile, in cui il colore trasparente e sgargiante sostituisce i chiaroscuri del collega conterraneo.
Non poteva non colpire Riccòmini il quadro che riproduce il tempietto circolare che Raffaello inserisce nello sfondo dello Sposalizio della Vergine, in un sottile dialogo artistico a distanza col suo maestro Perugino. Una visione parziale e monca, sbirciata dietro scuri battenti bloccati da un lucchetto, come è accaduto per la grandiosa mostra organizzata per celebrare i cinquecento anni dalla nascita del famoso pittore urbinate alle Scuderie del Quirinale. Il monumento in primo piano è invece opera di David Marinotto, docente di scultura a Venezia, amico di Pesci venuto a mancare durante il periodo di lockdown.
E’ imponente il numero di decessi registrati in questo nefasto 2020, ai tanti provocati dal virus si sommano quelli di persone note e meno note, perdite che hanno significato per tutti noi dolorose separazioni vagamente sopportabili solo con la tenerezza del ricordo. Oltre tutto il resto, la pandemia ci ha costretti e guardare in faccia alla morte e a trovare rimedi per sopravviverle.
Ci ha lasciato, tra gli altri, un maestro straordinario dotato di profonda sensibilità e passione come Ezio Bosso. A lui è ispirata La tredicesima stanza, un quadro che ne rivela il trasporto e la tenacia attraverso la gestualità delle sue mani, il rapimento artistico nell’estasi del suo volto. La sua musica ci accompagna oltre i confini dello spazio e del tempo, come riporta un testo da lui scritto ispirato alla filosofia indiana, che costituisce parte integrante del pannello e che riprende una teoria antica secondo cui la vita è composta da 12 stanze “in cui lasceremo qualcosa di noi, che ci ricorderanno”. Le stanze, con tutti i significati che possono assumere per un musicista, diventano 13 nell’opera di Pesci; 13 come l’interno in cui ha dipinto questi quadri, la tredicesima è l’ultima a enfatizzare il valore di rinascita e crescita alla fine di un percorso; che non è scomparsa, in virtù delle tracce preziose che ciascuno di noi lascia lungo la propria esistenza.
Altre tavole parlano invece delle passioni di una vita per Claudio, come quella per il ciclismo che lo ha portato a lungo a indagare e celebrare col suo pennello il mito di Fausto Coppi e di altri illustri campioni della bicicletta. Per anni Pesci è stato presidente dell’Associazione Fausto e Serse Coppi di Castellania, paese natale dei due fratelli e ha contribuito con la sua opera a mantenere viva e vibrante la memoria del Campionissimo.
La mostra INTERNO 13 Tempo di Covid-19 è stata presentata il 5 settembre 2020 presso il Centro Culturale Casa Papaveri a Borgonuovo di Sasso Marconi (BO), un allestimento all’aperto tra le pendici del primo Appennino, immersa in un panorama mozzafiato e in uno spazio che dialogava a meraviglia per antitesi col tema dell’esposizione.
Pandemia permettendo, verrà esposta a Pianoro presso i locali della casa di riposo Villa Giulia, proseguendo nella scelta di location non convenzionali ed in stretta correlazione coi contenuti esposti. Tra Natale e Capodanno verrà ospitata dal Palazzo comunale di Fai della Paganella e successivamente si sposterà presso la Kulturni Dom di Gorizia, già teatro di significative esposizioni di Claudio Pesci.
Tutto compatibilmente con l’andamento della diffusione del virus e nella temibile prospettiva che il ritorno ad una normalità sia lontano, che ci attendano invece nuove chiusure, ancora isolamento, ulteriori perdite. Cerchiamo di farci trovare preparati e alimentiamo i nostri spiriti di quante più risorse per affrontare ogni possibile scenario.