Coronavirus: l’assedio
Andrea Zanotti, professore ordinario di diritto canonico e diritto ecclesiastico, presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Alma Mater Studiorum, nonché presidente della Fondazione Golinelli, ha pubblicato nel 2021 un libro intitolato ‘Coronavirus: l’assedio‘, edito dalla Bononia University Press (Bup). La recensione sotto è di Marco Bortolotti.
Coronavirus, una cronaca dal contagio
La catastrofe ucraina, stravolgimento della storia cui eravamo abituati, è stata percorsa dalla tragedia ancora incombente del contagio. Abbiamo in bocca la frase fatta: come stai? Domande in aria senza risposta, dette solo per annusarsi. In tempi di contagio parolette gravide e speranzose. Andrea Zanotti, colpito e guarito dal virus, ha scritto quelle parole con l’angoscia per gli amici morti e con l’allegria del transito luminoso. Nel libretto (Coronavirus: l’assedio, ndr) edito dalla benemerita Bononia University Press sceglie di scrivere l’esperienza con penetrante lungimiranza. Il giurista opera con il fine principalissimo di raggiungere per lui, per le persone care, per la comunità, la salute insieme fisica, spirituale e morale.
Fissa l’esperienza cercandola nella sua storia; i ricordi di Andrea vanno insieme, sono una cosa sola con il dramma sociale, umano del contagio; racconto sapiente, vivo, dove ogni immagine allude al fine desiderato.

Al male che si annuncia con la sterile, impotente inquietudine della febbricola, oppone gagliarda fiducia; descrive la fisiologia del male che cova nell’organismo insieme ad un disagio presentito che oltrepassa il malessere fisico e il timore, sempre vigile e combattente. Andrea come Renzo che, spaventato del suo terrore, comanda al cuore di reggere finché sente l’amico rumore, e vede l’acqua luccicare e correre. Non adopero a casaccio la citazione; Zanotti scrive di una peste, spera nella provvidenza, usa la triade aggettivale manzoniana con quelle figure “sconfitte, smarrite, tristi” che accompagnano il corteo funebre del compagno, “quel ragazzone alto e robusto” che chiuso nel sacco verde, è trascinato via dal Grande Fiume. Non mi va di caricare queste righe con paroloni gravidi e miei; vorrei piuttosto copiare, trascrivere, come facevano gli antichi amanuensi con le parole dei maestri; perché Andrea è un maestro, insegna all’Università diritto canonico, come l’indimenticato e a tutti carissimo Giuseppe Caputo, regista come tutti dovrebbero sapere, del Nono Centenario dello Studio insieme all’imprenditore ed ex rettore Roversi Monaco. Zanotti non dimentica l’Università, l’evento centenario, la firma della Magna Charta; racconta aneddoti fragorosi del Cossiga vanesio aggredito da Caputo e dalla sua istituzionale “acrobazia creativa”.
L’anima universitaria mi ha trascinato alla periferia della forza sintattica e dai contenuti del libretto, lungo calvario di uomo vigoroso, intraprendente che si scopre fragile, segnato da una consunzione che si annuncia con distinti caratteri e parametri fisiologici: febbre, sudore anomalo, fame d’aria. Chiede e ottiene il ricovero e qui apre una galleria di personaggi, medici, portantini, infermieri e le “vestali del Protocollo” del pronto soccorso trentino con quel cerimoniale dell’accoglienza fatto di attese, riscontri, procedure rituali del palcoscenico sanitario. Andrea è professore, amico di primario medico bolognese; sente tutto il ridicolo fittizio della gerarchia e se ne vergogna, ma non esita a ricorrervi per il bene supremo della salute con l’acume del giurista e la conoscenza del fenomeno istituzionale. Figure di medici e di infermiere – l’Anna si radica nella mente del lettore e fonda un’emozione – si alternano al suo capezzale e qui noi bolognesi, con il Sant’Orsola invocato a soccorso, vediamo riconosciuta l’eccellenza e primato del nostro presidio ospedaliero. L’angoscia che occupa la sua mente senza mai sopraffarla, non gli fa dimenticare le persone che ha d’attorno, medici, infermieri, malati, fatti oggetto della stessa partecipata, dolente afflizione. Capita a tutti di veder apparire in sogno e di parlare con le persone che hanno segnato la nostra esistenza morale, intellettuale, civile, con l’insegnamento e gli esempi di vita: Giuseppe Caputo, Lucio Dalla, il padre Roberto, Ezio Bosso, Giuseppe Dalla Torre e Pietro Bellasi gli tengono abbagliante, ostinata compagnia nel dormiveglia minaccioso della malattia e gli ispirano un grande amore giovanile, impetuoso per la vita, con l’esigente passione di condividerlo con chi legge, commosso, turbato da “quella moltitudine di dispersi e desolate lontananze ai quali va il pensiero di uno che ha ritrovato la via di casa, che è tornato a mettere un po’ di legna nel fuoco”.