Cusb, il centro dell’ultimate frisbee europeo
ARTICOLO MODIFICATO IL 19 MAGGIO 2021 ALLE ORE 16.05
Sport praticato nei campus Usa, il gioco del frisbee è arrivato in città 33 anni fa. Due squadre del Centro universitario sportivo si raccontano a CUBo: una storia fatta di sacrifici, duro allenamento, partite perse e storici rivali, fino a diventare tra le più forti del Vecchio continente
di Silvia Rizzetto
Impossibile non averlo mai lanciato al parco o in spiaggia. Il frisbee, un gioco nato nel 1937 dall’intuito di una coppia di Los Angeles che si divertiva nel tempo libero a far volare teglie per torte e diventato un fenomeno di massa negli anni Sessanta, è diventato uno sport a tutti gli effetti nel 1968 ed è stato riconosciuto a livello internazionale nel 1984. Da anni la Federazione mondiale flying disc sta lavorando per farlo diventare una disciplina olimpica dimostrativa. Eppure, resiste ancora il pregiudizio che quell’oggetto sia solo un passatempo. Non la pensano così le squadre élite di ultimate frisbee del Centro universitario sportivo (Cus) di Bologna, la maschile La Fotta e la femminile Shout, nate rispettivamente nel 1988 e nel 1994, ora campioni in carica europei.

«Me lo dicono sempre – confida Irene Scazzieri che delle Shout è capitana delle attaccanti – Forse perché l’ultimate è uno sport ancora poco conosciuto. Credere che sia ‘fare due tiri in spiaggia’ è riduttivo». «Io li inviterei ad allenarsi con noi – incalza sua sorella Sofia, anche lei veterana della squadra ma sul fronte della difesa – Facciamo tre allenamenti di gruppo alla settimana, più due individuali, che possono essere corsa o palestra». Sedute che sono diventate più intensive dal 26 aprile, data in cui il nuovo Dpcm ha concesso attività di contatto. Ora è possibile allenarsi in campo e fare partite, ma si attende la riapertura delle palestre: «Noi del Cusb siamo tornati ad allenarci normalmente, siamo nuovamente liberi di giocare con la difesa», fa il punto della situazione Irene Scazzieri.

Marcare gli avversari, avanzare nella mischia effettuando passaggi, ricevere il frisbee nella meta opposta, la parte finale del campo rivale, facendo punteggio: questo è lo scopo dell’ultimate. Si gioca sette contro sette, chi in attacco chi in difesa, in un campo lungo 100 metri e largo 37, con due aree di meta profonde 18 metri, senza pali né porte. Il gioco si sviluppa in un tempo di 100 minuti, suddivisi in due tempi da 45 minuti più dieci minuti di intervallo. Sofia Scazzieri descrive le basi dell’ultimate: «Il disco viene messo in gioco dalla squadra che parte in difesa, con un gesto che si chiama pull. Non si può correre con il disco in mano, per lanciare si hanno a disposizione dieci secondi, sono contati dal proprio avversario che marca. Alla loro scadenza, si dà il disco all’avversario e chi è in attacco passa in difesa. Ogni meta vale un punto, vince la squadra che raggiunge 15 punti». Fondamentale per chi ha il disco in mano stare fermi, mentre il proprio compagno si fa strada evitando il contatto fisico, reputato falloso. I tre lanci più comuni dell’ultimate sono il dritto e il rovescio, simili al tennis, e il rovesciato, meno frequente perché è soggetto al vento. Compito dell’attacco è quello di effettuare il minor numero di passaggi possibili per evitare il rischio di regalare il disco all’avversario. Il segreto è «restare lucidi anche nelle situazioni di fallo, momenti in cui viene fuori l’animo agonistico», svela Irene Scazzieri. Il suo ruolo di capitana d’attacco è tattico, è «decidere al momento giusto la giocata giusta, identificare le compagne che magari in quel momento sono pronte e darle loro spazio e non sovraccaricare di responsabilità le altre». Richiede molta esperienza, perché «è l’attacco che si adatta alla difesa avversaria – chiosa Simone Gasperini, capitano degli attaccanti della Fotta – in una partita, 11 o 12 punti vengono segnati dall’attacco, se la difesa riesce a segnarne tre o quattro è ottimo perché per fare punti in difesa bisogna prima riuscire a far cadere il frisbee alla squadra che sta attaccando poi portarlo alla meta avversaria».

Le contese vengono risolte direttamente dai giocatori, perché la particolarità dell’ultimate è l’assenza di arbitri. Sta dunque agli atleti comportarsi sul campo in maniera consapevole, seguire le regole del gioco e rispettare i propri compagni e avversari. Questo è definito nel gergo tecnico Spirit of the game (letteralmente “Spirito del gioco”), termine che racchiude gli ideali di sportività e di fair play della disciplina, incarnati dal capitano dello spirito del gioco, uno in ogni squadra, che si occupa di intervenire durante le chiamate di fallo o di sedare gli animi dei giocatori. Giovanni Santucci, capitano dello spirito della Fotta, racconta un’azione di cui è spesso partecipe: «Se ci sono delle irregolarità, vado dall’altro capitano dello spirito e dico “Noi saremo più contenti se ci fosse meno contatto”, oppure “Stiamo notando che voi fate spesso fallo sulla marcatura, potreste cercare di evitarlo?”. Si trova un accordo, c’è anche la possibilità di chiamare lo Spirit time out perché la partita sta degenerando o comunque ci sono atteggiamenti non corretti. Si ferma il gioco, si parla faccia a faccia, infine si riparte». Nell’ultimate frisbee è importante anche la percezione che ha una squadra nei confronti degli avversari. A fine partita c’è un momento in cui le due contendenti si riuniscono in un cerchio, lo Spirit circle, dove si confrontano e fanno un commento tecnico di ciò che è andato in scena sul campo. Capita di parlare in generale della difesa o dell’attacco delle due squadre, oppure si mettono in luce gli aspetti da migliorare o si danno consigli di fair play. Dopodiché, le squadre si dividono e danno al proprio avversario un punteggio da zero a quattro su alcuni aspetti della partita. Li elenca minuziosamente Santucci: «Conoscenza e uso delle regole, falli e contatto fisico, onestà, attitudine positiva e autocontrollo, infine comunicazione, cioè saper rapportarsi con gli avversari. Il due è la sufficienza, mentre lo zero e il quattro vanno sempre giustificati». Questo punteggio è separato da quello della partita, di conseguenza ci sono ai tornei due primi premi, uno per giocate vinte e un altro per il miglior spirito. «Vale di più la vittoria per partite vinte», precisa Sofia Scazzieri.

Gli atleti bolognesi si spartiscono tre campi, l’Antistadio in via Andrea Costa, il Centro sportivo universitario in via del Terrapieno e il Centro sportivo Ferrari in via del Battiferro. Sono 13 le squadre di ultimate del Cusb. Un numero che segnala una rapida diffusione della disciplina, se si pensa che solo nel 2008 sono state introdotte nelle scuole medie e superiori della città metropolitana le ore di frisbee durante gli insegnamenti di educazione fisica. «Ho cominciato alle medie nel 2010 con gli Alligators di Casalecchio, poi sono passato ai Red Bulls, prima squadra giovanile del Cusb. Ho fatto la mia gavetta per qualche anno, poi sono entrato nella Fotta», racconta Gasperini. Il suo compagno di squadra Santucci ha invece debuttato alla Fotta nel 2009, quando andava al liceo: «Allora non si erano ancora formate le squadre giovanili. Ero più piccolo rispetto agli altri, ma con me sono entrati altri coetanei, così si è creato nel Cusb un ambiente di competizione interno che ci ha permesso di migliorare come squadra». Dal 2015 La Fotta è tra le prime cinque squadre europee. Con i suoi tre argenti alla Champions League (i campionati europei) e il suo oro vinto nel 2019, è la squadra italiana più rappresentativa all’estero. Complice il fatto di essere da sette anni un gruppo coeso, formato dalle stesse persone che si allenano insieme quasi ogni giorno. La loro crescita ha scandito le tappe più importanti della squadra, tappe sofferte, non sempre segnate da vittorie. «Per anni agli europei ci siamo fermati al secondo posto, abbiamo sempre perso contro i londinesi della Clapham. Nel 2017 ci hanno eliminato in semifinale. Era la nostra prima Champions League giocata in Italia. È stato un colpo basso», ricorda Gasperini mentre pensa ai momenti più bui della Fotta. Mano a mano il divario con la Clapham è stato colmato e la tanto agognata rivincita è finalmente arrivata due anni dopo, nella stessa partita (la finale di Champions League) e nello stesso luogo, a Caorle (Venezia). «Abbiamo vinto 15 a 7, ce la siamo assaporata per bene dall’inizio alla fine», conclude sorridente il capitano.

Anche il cammino delle Shout è stato lento ma tutto in salita, un’esperienza vissuta intensamente da Irene Scazzieri, oggi tra le più anziane del gruppo. «Sono entrata nella squadra nel 2013. Alcune mie compagne avevano 15 anni in più di me e una vita completamente diversa dalla mia, è stato difficile integrarmi. Poi c’è stato un cambio generazionale, si sono aggiunte ragazze della mia età, abbiamo intrapreso un nuovo percorso, non solo sportivo, ma anche mentale». Le prime vittorie sono arrivate nel 2014, con il primo posto al campionato italiano. «Abbiamo affrontato tante partite difficili, solo così abbiamo scoperto che avevamo delle armi a nostro favore che prima non conoscevamo». L’anno della svolta è stato il 2018, quando a ottobre sono rinate dopo la cocente sconfitta dei mondiali per club, avvenuta il luglio precedente. Vincono il primo oro alla Champions League e diventano la squadra rivelazione dell’anno. Un momento secondo Sofia Scazzieri «di liberazione, dove abbiamo visto coronati i nostri sacrifici», che ha permesso alle Shout di ripresentarsi con maggior determinazione alla Champions League dell’anno seguente e di ottenere un secondo oro a sole 24 ore di distanza dalla vittoria della Fotta. Un risultato storico, finora nessuna società sportiva aveva visto le proprie squadre maschili e femminili salire sul gradino più alto del podio durante la stessa edizione della Champions League. «Il centro dell’ultimate europeo si è spostato a Bologna, che ha strappato il primato a Londra», commenta Gasperini. Ora l’obiettivo di entrambe le squadre è tenersi stretto il proprio record per i prossimi europei, previsti per ottobre 2021, e ottenere una buona posizione nei mondiali per club del 2022.
Essendo uno sport molto giovane, l’ultimate ha il costante bisogno di nuove leve. Con la ripresa degli allenamenti, La Fotta sta proseguendo la sua campagna di selezione di atleti dalle squadre giovanili. «Più ci sono nuovi giovani, più il livello delle squadre elite sarà alto – è l’augurio di Irene Scazzieri per le Shout – credo che l’ultimate sia lo sport più inclusivo: non c’è limite di età, chiunque può venire da noi a provare». «Penso che l’ultimate richieda più energie degli altri sport – aggiunge Sofia Scazzieri – Le partite sono concentrate in un weekend al mese. Non sempre agli allenamenti o alle partite è presente l’allenatore, quindi il giocatore è responsabile della buona riuscita dell’allenamento. Ognuno organizza la propria trasferta, pensa al viaggio, all’alloggio, ai pranzi e alle cene. Non basta essere presenti, bisogna metterci del proprio».