Dal salotto fiorentino della “Gentile ignota” alla corte di Guglielmo II: il racconto della Belle Époque di Vittorio Corcos a Bologna

Per la prima volta a Bologna una retrospettiva del pittore livornese Vittorio Matteo Corcos. Nel percorso una quarantina di opere provenienti da collezioni private e da importanti musei pubblici come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e contemporanea di Roma, la Gam di Milano, gli Uffizi di Firenze e anche dal nostro ateneo, presentate in sei sezioni tematiche

Di Lara De Lena

 

Ugo Ojetti definiva in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 18 novembre del 1933 la pittura di Corcos «attenta, levigata, meticolosa, ottimistica: donne e uomini come desiderano d’essere, non come sono» mentre l’amico Angelo Orvieto, direttore della rivista Il Marzocco scrisse nel 1904 sulla sua rivista «è il pittore delle eleganze femminili, com’è l’uomo di tutte le eleganze».

Vittorio Matteo Corcos nasce a Livorno nel 1859, agli albori dell’Italia unita, da una famiglia di mercanti appartenenti alla comunità ebraica della città. La sua formazione è trasversale: i primi rudimenti del mestiere li apprende nella sua città, presso la scuola di pittura di Giuseppe Baldini, la stessa in cui si era formato il macchiaiolo Giovanni Fattori. A 16 anni si trasferisce a Firenze dove studia all’Accademia di Belle Arti sotto la guida di Enrico Pollastrini e da cui a 19 anni si sposta a Napoli dove compie un tirocinio artistico con il maestro Domenico Morelli e poi a Parigi dove rimane dal 1880 al 1886, partecipando a tre edizioni del Salon parigino. Tornato a Firenze, vi rimarrà fino alla sua morte, avvenuta nel 1933.

Coevo e conterraneo di Amedeo Modigliani, con il quale ha in comune anche la giovanile esperienza parigina, Corcos segue una sorte speculare all’infelice e tormentato collega bohémien, godendo di ampia fama e ricchezza in vita e di un pressoché totale oblio seguito alla sua scomparsa, se non fosse per una serie di fortunate esposizioni a lui dedicate che portano in giro per l’Italia le sue opere più celebri, a partire da Sogni, che dà anche il titolo alla mostra: Corcos. Ritratti e sogni sarà aperta fino alla prossima estate nella suggestiva cornice di Palazzo Pallavicini in Via San Felice a Bologna; a curarla è lo storico dell’arte Carlo Sisi, già curatore di altre mostre dedicate all’artista come Corcos. I sogni della belle époque, tenuta nel 2014 a Palazzo Zabarella a Padova, e Vittorio Corcos. L’avventura dello sguardo nel 2019 presso la Fondazione Accorsi-Ometto a Torino.

Il percorso espositivo inizia nell’ampia Sala delle Udienze dove incontriamo il volto dell’artista in un intenso autoritratto che lo immortala all’età di cinquantaquattro anni con indosso un dimesso spolverino da lavoro. Oltre a dare al ritratto un’impronta realista – si potrebbe anche dire iperrealista – l’abito è anche un espediente per enfatizzare la luminosità della composizione: le macchie di luce sull’abito chiaro e lo sfondo scuro creano un interessante contrasto con la definitezza del volto, in cui le ombre sfumate con una tecnica altissima danno una resa a nudo dell’autenticità del personaggio. Realizzato nel 1913, conservato agli Uffizi e dipinto proprio per le gallerie fiorentine su richiesta di Corrado Ricci (già direttore del museo fiorentino dal 1904 al 1908 e in seguito divenuto Ministro della Pubblica istruzione) Corcos sceglie di raccontarsi in modo austero e autentico, svelando quel carattere schivo e mai autocelebrativo che Ojetti aveva fatto emergere in una celebre intervista risalente al 1907 e pubblicata sulla rivista L’Illustrazione italiana. In occasione di quell’intervista l’artista aveva dichiarato: «Non è vero che gli uomini sono tutti differenti fra loro. Uomini e donne appaiono, almeno a me, divisi in alcuni gruppi, e tutti gli appartenenti ad un dato gruppo si assomigliano». È proprio nel rapporto tra particolare e universale che sta l’abilità pittorica di Vittorio Corcos: la sua forza è nel dettaglio. Per Roland Barthes quella del dettaglio è una categoria estetica che compare quando diventa necessario mantenere un certo numero di differenze formali all’interno di un tipo universale. Ciò è particolarmente evidente nella stragrande maggioranza dei ritratti presenti in mostra, dove il dettaglio di un guanto, un fiore, un cappello, un anello o un libro raccontano una storia e definiscono un prototipo, fissandone talvolta gli aspetti più psicologici e talvolta più mondani.

In questa prima sezione, La famiglia e gli amici. Nel salotto della ‘gentile ignota’, si apre un sipario sul fervido contesto sociale e culturale del salotto della casa fiorentina dell’artista animato dalla moglie Emma Ciabatti, milieu culturale di fine secolo la cui cassa di risonanza era data dalle riviste d’epoca, impegnate a diffondere una sorta di sincretismo delle arti. Emma era amica di personaggi influenti tra cui Giosué Carducci, Pirandello, Piero Mascagni e Gabriele d’Annunzio ed è grazie a lei che l’artista conosce tutti i personaggi ritratti nelle opere esposte nella prima sala e in alcune delle sale successive. Qui troviamo gli amici più celebri (ma anche i più amati), opere risalenti a diversi decenni ma tutte accomunate da un sapiente utilizzo dei chiaroscuri, da una resa fotografica dei dettagli di moda e stile e soprattutto dalla volontà da parte dell’autore di compiere una sorta di indagine psicologica per lasciare trasparire i caratteri più connotanti della personalità di ciascuno di loro. Ciò accade soprattutto attraverso lo sguardo, come per Ritratto della moglie Emma, realizzato nel 1889 e conservato al Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno. «In un ritratto – diceva Corcos – quello che conta sono gli occhi: se quelli riescono come voglio, con l’espressione giusta, il resto viene da sé».

Corcos sposa Emma Ciabatti nel 1886, quando torna in Italia dal suo periodo parigino per il Servizio militare. Per lei erano le seconde nozze perché, anche se ancora molto giovane, all’epoca era già vedova e madre di tre figli, Ada, Edoardo e Francesco. I due avranno altri tre figli insieme: Maria Luisa (detta Memmi), Emma e Massimiliano (detto Pimpi), che viene subito avviato dal padre alla professione di pittore ma che purtroppo morirà giovane al fronte durante la Grande Guerra. Per Emma Vittorio si converte dalla religione ebraica al cattolicesimo. Il loro è un legame molto intenso e intensa era la personalità di questa donna, a cui l’artista deve molto per il suo successo personale. L’appellativo «gentile ignota» nasce da Giovanni Pascoli, che Emma incontra solo una volta nella sua vita ma con il quale intrattiene una intensa corrispondenza epistolare dal 1897 al 1912, anno della morte del poeta, ora rintracciabile nel volume Lettere alla gentile ignota a cura di Claudio Marabini edito da Rizzoli nel 1972. L’incontro tra la donna e il poeta si tenne in occasione di una conferenza a cui Emma assistette proprio nel 1897 al termine della quale avvicinò Pascoli per descrivergli le emozioni provate dall’ascolto delle sue poesie. Il gesto rivela al poeta la generosa solidarietà umana della donna, avviando un rapporto epistolare che denota un affetto sincero da parte di Emma e una stima profonda del poeta nei suoi riguardi, unito a una ferma riconoscenza che lo porta anche a dedicarle L’ora di Barga, compreso nei canti di Castevecchio del 1903.

Sempre dal Museo Civico di Livorno viene l’opera Ritratto di Yorick in cui Pietro Coccoluto Ferrigni (detto «Yorick figlio di Yorick» per omaggiare lo scrittore inglese Laurence Stern) è immortalato avvolto in un cappotto in tutta la sua fisicità dirompente (come per l’editore Emilio Treves che però, a differenza di Yorick, è posto in uno sfondo scuro come l’abito che indossa, lasciando come unici punti di luce i dettagli della camicia candida e della catena dorata sul panciotto).

Ritratto di Yorick – per le ampie dimensioni, per l’energia da cui la sagoma scura emerge dallo sfondo caratterizzato da toni dorati e per la singolarità dei grafismi che emergono dal muro – è sicuramente la tela che prende la scena nella sala. In basso a destra appare la dedica «all’amico Yorick – Genn° 89 / V. Corcos» mentre a metà altezza del dipinto, a destra, si legge «Se l’uomo qui dipinto al naturale / Non è giovin, grazioso ed alto e snello, / se ne accusi il pennello: / Non ci ha colpa, per Dio, l’originale». I versi sono di Yorick stesso e ironicamente attribuiscono il suo aspetto alla poca destrezza del ritrattista allo scopo di evidenziare il carattere ironico del soggetto. Corcos tracciò i disegni infantili sul muro accanto a Yorick non casualmente: all’epoca nell’ambiente della critica d’arte il mondo creativo dell’infanzia era soggetto di studio. Corrado Ricci aveva organizzato nel 1885 una conferenza dedicata proprio all’arte dei bambini e due anni dopo ne aveva pubblicato gli atti. I disegni sono firmati con il nome di Ada che, come si è detto, era la figliastra di Corcos.

Di tutt’altro tenore è invece Ritratto del pittore Silvestro Lega, dipinto nel 1889 e conservato alla Gam di Milano, regalo del pittore all’amico e maestro conosciuto verso la fine della sua vita, quando una grave malattia agli occhi lo stava portando alla cecità. Nel ritratto spicca la dedica ben visibile «All’amico Silvestro Lega 8 novembre 1889». L’opera evoca un ambiente crepuscolare allo scopo d’immortalare in un’immagine la vita stessa dell’artista, vissuta con elegante dignità ma con difficoltà economiche, di rapporti e di consensi, dovuti, come è noto, a quella testarda coerenza che predominò nei pittori Macchiaioli, nella cui pittura e atmosfera Corcos, ricordiamolo, aveva mosso i suoi primi passi. Ancora una volta all’autore non sfuggono quei dettagli che raccontano un’intera vita. In questo caso la chiave è nelle mani: una, che regge il bastone, è protetta da un guanto ma l’altra, che Lega tiene in tasca per riscaldarla, ne è priva.

Degni di nota anche Ritratto di Enrico Panzacchi e Ritratto di Giosuè Carducci. Il primo, anche questo di chiara impronta realista, è realizzato nel 1894 e riporta la dedica «Al mio buon Panzacchi», rivelando quindi il rapporto di affetto tra i due. Segretario, docente di storia della critica d’arte, Panzacchi è un notabile a Bologna: è stato professore universitario nella cattedra di Estetica e ancora prima direttore dell’Accademia di Belle Arti, dove il ritratto è ora conservato. Per Giosuè Carducci, invece, Corcos nel 1892 dipinge due ritratti in cui il poeta è ripreso durante un convegno. I due ritratti sono custoditi uno nel Museo Casa Carducci di Bologna e l’altro, che è quello esposto, appartiene invece allo Sma ed è conservato in Aula Carducci nella nostra università.

Gli anni di Parigi, è una breve sezione ospitata nella Sala di Giove, Marte e Minerva in cui troviamo una selezione di opere dipinte negli anni del soggiorno parigino. L’impronta naturalista evidente in alcuni ritratti della sezione precedente lascia il passo a temi più frivoli e a un uso più luminoso e impressionista del colore. Terminata l’esperienza a Napoli, Corcos si trasferisce a Parigi per intercessione del suo mentore Domenico Morelli. Racconta la figlia Memmi in La vita di mio padre Vittorio Corcos, biografia scritta nel 1965, che il maestro lo incoraggiò a partire dicendogli «non ho più nulla da insegnarti, quello che da me potevi imparare lo hai già superato, è necessario, ora che tu faccia la tua carriera. Non vedo altra via che quella di Parigi. Vai là prima che puoi, e riuscirai a fare la strada che meriti». Morelli gli presenta il celebre mercante d’arte Adolphe Goupil della Maison Goupil, che già seguiva Giovanni Boldini, con cui il giovane Corcos farà un contratto in esclusiva della durata di quindici anni che darà il via alla sua ascesa sociale ed economica. Il piccolo acquerello Luna di miele, realizzato nel 1885, fu riprodotto su Le Figaro illustré ed è un classico esempio di commessa realizzata per le esigenze prettamente commerciali della Maison Groupil: scene di gusto aneddotico per i clienti che apprezzavano la piacevolezza del soggetto unita alla ricercatezza del dettaglio.

A Parigi Corcos frequenta i Café Anglais e La Rochefoucauld, frequentati da artisti e intellettuali, apprende gli insegnamenti del celebre ritrattista francese della belle époque Léon Bonnat e stringe amicizia con l’impressionista italiano Giuseppe De Nittis, che lo introduce nella cerchia del celebre salotto culturale curato dalla moglie Leontine (altra figura fondamentale, come Emma, per l’ascesa sociale del marito). Nel salotto dei De Nittis Corcos frequenta i pittori Manet, Boldini e Degas (con cui condivide la gavetta parigina come illustratore di ventagli) e scrittori come de Goncourt, Zola e Flaubert. È proprio questo ambiente dalla forte impronta naturalista a ispirare la sua grafica A la brasserie, che esporrà al Salon nel 1880. Negli anni parigini egli si misura con le novità della pittura impressionista sia nei paesaggi en plein air che nel ritratto, portando avanti anche l’attività parallela di grafico pubblicitario influenzata, come voleva la moda dell’epoca, dallo stile Liberty. L’influenza della pittura espressionista lo porta a uscire dall’impostazione macchiaiola in cui si è formato e a avviare un attento studio della luce che esprimerà nella sua forma più alta nei paesaggi di Castiglioncello. In opere come Woman with dog (il titolo è in inglese perché l’opera era stata prodotta per il mercato inglese) e Jeune femme se promenant au Bois de Boulogne, entrambi terminati nel 1885, troviamo una perfetta armonia con il gusto internazionale e le aspettative della Maison Goupil. I dettagli alla moda relativi all’abbigliamento femminile, come vedremo anche nelle altre sezioni, permettono di arricchirsi di quel «sapere antropologico» che secondo Barthes appartiene solo alla fotografia. E sono proprio fotografici i dettagli dell’abbigliamento e degli accessori. Non è tuttavia solo moda, giovani fanciulle e spensieratezza da villeggiatura che aleggia in questi quadri: in linea con le tendenze culturali del salotto del collega barlettano, in queste giovani donne aleggia una malinconia di flaubertiana memoria. In particolare, osservando il viso della giovane donna di Jeune femme se promenant au Bois de Boulogne ritroviamo evidenti gli echi di quella noia esistenziale che rimanda a Emma Bovary, protagonista del celeberrimo romanzo di Flaubert.

Sul finire del secolo, a Castiglioncello, frazione di Rosignano Marittimo in provincia di Livorno, Corcos fa realizzare una villa che si affaccia su una grande insenatura del mare resa celebre in tempi più recenti da un altro grande personaggio italiano, Alberto Sordi, che la acquistò negli anni Sessanta e che solo recentemente è stata rimessa in vendita dai suoi eredi. Quella della villa in Maremma alla fine dell’800 era una moda, basti pensare che è a questo bellissimo luogo che Carducci dedica Traversando la Maremma Toscana compreso nella raccolta Rime nuove. Negli stessi anni in cui Corcos prende la sua dimora estiva, la bellissima Villa Bellagio a Fievole veniva acquistata dal pittore svizzero Arnold Böcklin, che vi soggiorna dal 1895 fino al 1901 dichiarando: «Così alla fine ho la mia patria, dopo aver girato tanto a lungo come un vagabondo senza casa». A Fiesole Böcklin è circondato dalla consistente colonia intellettuale tedesca di Firenze. Con intenzioni simili, Max Klinger si stabiliva a Villa Romana nel 1905.

Castiglioncello e la bellissima Villa Corcos sono lo sfondo delle opere presenti nella terza sezione della mostra, Luce mediterranea, ospitata nella Sala dell’Allegoria del Commercio, dove troviamo eleganti protagonisti dell’Italia umbertina vestite con candidi abiti e immerse nella luce estiva e marinara. L’ameno luogo toscano era già apparso in uno dei paesaggi più celebri dei macchiaioli: Pascoli a Castiglioncello dipinto da Telemaco Signorini nel 1861 e aveva lasciato una immagine di queste campagne baciate dalla luce, resa a ‘macchie’. Dipinto che, come consuetudine per i macchiaioli, aveva attirato a sé strali di critiche alla sua esposizione tra cui svetta il celebre commento ferocemente sarcastico di Yorick che aveva definito l’opera «una frittata piena di vacche in gelatina».

Castiglioncello e la sua splendida luce consentono a Corcos di unire due aspetti a lui congeniali: da un lato lo studio del paesaggio di luce di matrice tanto macchiaiola quanto impressionista e dall’altro il racconto delle consuetudini borghesi legate alla sua famiglia e ai suoi ospiti, che nelle occasioni di vacanze al mare diventano modelle e modelli per i suoi ritratti. È il caso di Ritratto di Peggy Baldwin, realizzato nel 1908, in cui questa giovane e graziosa adolescente è ritratta nel suo gesto di sedersi lungo il muretto che fa da divisorio nella composizione, creando una sorta di sezione aurea. I toni luminosi e tenui sono dialogano con il rosso acceso dell’abito – in contrasto con il bianco imperante indossato dalle protagoniste delle altre tele – e simbolo di una pubertà inquieta che traspare anche dalla bionda chioma scompigliata il volto, in parte coperto dall’ombra, ricorda quello delle tormentate fanciulle di Edward Munch. In questo e in altri paesaggi presenti nella sezione troviamo la costante dell’accostamento di colori complementari in modo da raggiungere il massimo livello di irradiazione luminosa, unito a un sereno accostamento di gradazioni di colore che raggiungono talvolta effetti di totale immersione nella luce calda.

Vedremo ancora lo sfondo di Castiglioncello, dipinto per la prima volta dall’artista in Ritratto della figlia di Jack La Bolina, realizzato nel 1888, presente nella sezione dedicato al ritratto. L’opera ritrae Lucia Vecchi, figlia maggiore di Augusto Vecchi, amico di Corcos proveniente da una famiglia di garibaldini, biografo di Garibaldi, professore e scrittore di storie di mare con lo pseudonimo di Jack La Bolina, frequentatore anch’egli del salotto di Emma Ciabatti.

De Blowitz, corrispondente a Parigi del Times, definì Vittorio Corcos nei suoi articoli «peintre de jolies femmes, pittore di donne graziose» ed è questo appellativo che dà il titolo alla prossima sezione. Groupil definiva Corcos «pittore castamente impuro» rimarcando la sua tendenza a mettere in evidenza, a vari livelli, la sensualità insita in ogni donna. In effetti, il genere del ritratto femminile resta senz’altro quello che ha reso l’artista più famoso e riconoscibile. In questa sezione troviamo volti di donna «che hanno in sé qualcosa del fantasma e del fiore», ritratti nella gamma dei sentimenti che caratterizzano l’universo femminile dall’adolescenza alla prima maturità. Tra queste La parigina del 1897 è il ritratto di una giovane donna dall’incarnato ceramico, chiaro e purissimo come chiara e purissima è la nuvola di tessuto che le avvolge le candide spalle, un abito elegantissimo e impreziosito da applicazioni floreali presenti anche tra i capelli, rossi di un tono da echi tizianeschi. I boccioli di rosa che decorano la bellezza della donna stanno anche a simboleggiare la giovane e acerba età, evidenziata dal rosso seducente delle sue labbra e dalla luce che emanano i suoi occhi. Una costante delle fanciulle dell’artista è la loro inafferrabilità: i loro pensieri ci sfuggono perché sono altrove con la mente. Vediamo nel modo di raffigurare queste giovani una volontà a mettere in evidenza il mistero che le avvolge.

È così per La vestale, realizzato nel 1900, in cui questa caratteristica è ancora più evidente. Il rimando è al mito delle donne della Roma imperiale raccontate nelle opere di Giovenale e Tacito, ingannatrici, scaltre e spregiudicate. Tale modello era stato ripreso nel Romanticismo e definitivamente consacrato in epoca decadentista in cui il topos della femme fatale è accolto da scrittori come Gabriele D’Annunzio che lo semplifica ai limiti di personificazioni contemplative e sensuali come ne Il piacere. Corcos coglie ancora una volta puntualmente le sfumature della cultura letteraria del proprio tempo e dipinge donne dalla sensibilità ferina e istintivamente portata al femminino. Quell’atmosfera conturbante accennata in Ritratto di Peggy Baldwin qui è fortemente accentuata dalla posa della donna che, essendo di profilo, fugge al nostro sguardo: i suoi occhi sono socchiusi e nascosti da una zona d’ombra, la luce entra dall’alto e colpisce di piatto alcune zone, come la frangia, il petto e il braccio colto nel gesto di abbandonare la sigaretta che, ancora accesa, libera il fumo che si alza verso l’alto creando linee sottili che accentuano l’equilibrio e l’ordine della composizione.

In Corcos, come in molti pittori italiani suoi contemporanei, l’attenzione al passato mitico mutuava dalla forte influenza degli artisti nordici. Basti pensare alla produzione coeva di Giulio Aristide Sartorio o Giorgio De Chirico. Questa tendenza era figlia di una influenza letteraria, critica e giornalistica che passava da personaggi del calibro di Vittorio Pica e Gabriele d’Annunzio. Quest’ultimo aveva diffuso largamente attraverso i suoi articoli l’opera dell’artista inglese Lawrence Alma-Tadema, i cui quadri sono permeati da atmosfere del passato reinterpretato alla luce di una raffinatezza simbolista di fine ‘800 in linea con i concetti della borghesia vittoriana. L’abbinamento tra il passato, ricostruito mirabilmente in ogni particolare, e il presente, la cui società Alma-Tadema intende confondere con quella antica per valorizzarla e idealizzarla, ben si avvicina alle tendenze decadentiste di Gabriele D’Annunzio, il quale era entrato in contatto giovanissimo con l’arte inglese, nel 1883, in occasione della Prima Esposizione Internazionale a Roma. Il suo fu il primo articolo italiano dedicato interamente ad Alma-Tadema e fu pubblicato su Il fanfulla della domenica, settimanale politico e letterario romano dell’epoca, con il quale lo stesso Corcos collaborava. L’attenzione di Pica a quella che lui stesso definì «ossessione nordica» risale invece a un articolo pubblicato nel 1901 su Emporium e scritto per commentare l’edizione di quell’anno della Biennale di Venezia (la quarta), ma in questo caso Pica levava un grido di dissenso di fronte alla perdita di elementi latini operata da alcuni artisti nord italiani presenti in Biennale a favore di pallide copie (a suo dire) di artisti tedeschi e scandinavi.

L’ampia Sala dei Conviti ospita la penultima sezione, Il primato del ritratto, in cui, come in un ballo di gala, si assiste a un parterre di protagoniste e protagonisti dell’alta società della fin de siècle. In occasione di un’intervista a Targioni Tozzetti, Corcos affermava: «Il ritratto di un uomo deve sempre rappresentare con evidenza la posizione sociale che esso occupa nel mondo. Un ritratto di donna deve sempre renderla provocante, anche se ottantenne». La sua abilità e la grande notorietà come ritrattista, sia intimo che ufficiale, dà all’artista occasione di entrare in un circuito di alte frequentazioni da cui ricava importantissime committenze tra cui l’imperatore di Germania Guglielmo II di Hohenzollern. Il Kaiser, ammaliato dal ritratto che l’artista aveva realizzato per la contessa veneziana Rombo Morosini, lo chiama a Potsdam per posare per lui. Bozzetto per il ritratto dell’imperatore Guglielmo II è un olio preparatorio, il primo ritratto dal vero fattogli il 18 ottobre 1904, come riporta la nota nella tela in basso a destra. Altrettanto intensa, ma decisamente più fotografica, è l’espressività resa in Ritratto del marchese Riccardo Mannelli Galilei Riccardi, ritratto nel 1915 a cavalcioni su una bellissima sedia decorata e con l’algido sguardo azzurro enfatizzato da una lente posta sull’occhio destro. A completare il racconto dell’uomo (e della sua posizione sociale) una carrellata di dettagli di lusso, dai polsini agli splendidi anelli di rubino.

Tra le donne ritratte particolarmente degne di nota sono le opere Ritratto di Maria José, S.A.R. principessa di Piemonte (anche la schiva principessa era frequentatrice del salotto di Emma Ciabatti) realizzato nel 1931 appartenuto alla raccolta d’arte di casa Savoia, e Ritratto di Lina Cavalieri, dedicato alla soprano e attrice cinematografica che Gabriele D’Annunzio considerava «massima testimonianza di Venere in terra», come scrive nella dedica della copia de Il Piacere che le regala. Suo è il volto reso celebre dal designer Piero Fornasetti, che trovò una sua foto sfogliando una rivista francese di fine ‘800, rimanendo affascinato dalla sua bellezza e facendone la sua musa riproponendo i lineamenti in infinite varianti grafiche nelle sue serie di oggetti. Nel ritratto di Corcos, realizzato nel 1903, la donna è rappresentata di profilo e a figura intera, in modo da evidenziare l’avvenenza delle sue forme e l’incanto del suo volto. La sensualità della figura è corroborata dall’espediente della spallina scesa.

Al consolidarsi della poetica degli stati d’animo che emerge alla fine del secolo parallelamente ai percorsi della psicanalisi, è dedicata l’ultima piccola sezione della mostra, intitolata appunto Stati d’animo. Mascagni, che qui vediamo nell’intenso ritratto Piero Mascagni è livornese come Corcos e solo di pochi anni più giovane (era nato nel 1863). L’ascesa al successo di entrambi era avvenuta negli stessi anni anche se Mascagni si era formato a Milano, dove aveva stretto amicizia con Giacomo Puccini. A Firenze i due erano entrati in contatto per intercessione di Emma Ciabatti. All’epoca di questo ritratto, Piero Mascagni aveva ventotto anni ed era reduce dai successi de La cavalleria rusticana, che nel 1890 aveva debuttato al Teatro Costanzi di Roma ottenendo un clamoroso successo di pubblico. Il ritratto fu realizzato nel 1891; nel dicembre dello stesso anno Corcos in una lettera a Enrico Nencioni, autore del libretto de La cavalleria, spiega la scelta di ritrarlo in una posa anticonvenzionale, seduto a cavalcioni su una sedia rivolta (come sarà per il già citato ritratto del marchese Mannelli Galilei Riccardi), per evidenziale la libertà e la creatività del personaggio, che mal si sarebbero integrate in una posa ingessata. Il gesto della seduta, rafforzato dalla posizione energetica della mano sinistra che afferra il polso destro, enfatizza l’aura di giovane artista che contraddistingue il ritratto. L’illuminazione si ferma sulle mani al fine di evidenziarne la delicatezza e, insieme, la virilità. Al fine di non far passare un’immagine di rozzezza, Corcos evidenzia diversi dettagli resi con tecnica altissima, che connotano lo status sociale dell’artista: fiore all’occhiello secondo la moda inglese, scarpe di pelle lucida di fine fattura. La posa e lo sguardo magnetico sono resi più pregnanti dalla quasi assenza di uno sfondo ambientale: distinguiamo le gambe della poltrona in cui sono stati appoggiati il cappotto, il bastone e il cappello del maestro.

Vittorio Corcos, Sogni
Vittorio Corcos, Sogni

Sogni è invece il ritratto di Elena Vecchi, figlia minore di Jack La Bolina (e dunque sorella di Lucia di Ritratto della figlia di Jack La Bolina esposto nella sezione precedente). Elena è già stata ritratta da Corcos nel 1896 nel dipinto intitolato In attesa accanto alla fontana e in entrambi i ritratti è presente il ramoscello di rosa canina (di nuovo l’accostamento simbolico delle giovani donne e dei fiori). Un altro dettaglio presente in Sogni che si riproporrà in seguito è dato dai tre libri ritratti con la copertina gialla, riconoscibili come romanzi delle edizioni Flammarion presenti anche nelle tele In lettura sul mare e Pomeriggio in terrazza, entrambe del 1910. Sogni è probabilmente il più celebre e controverso dipinto di Corcos, che, cronaca narra, fece perdere alla giovane buona parte delle proposte di matrimonio ricevute a causa di una esibita – e ancora decisamente inusuale – fierezza e anticonformismo raccontati attraverso la posa anticonvenzionale (Elena accavalla le gambe e posa il volto sulle nocche della mano sinistra). La sua espressione sembra dirci che i suoi pensieri sono rivolti altrove, pensieri che Vittorio Pica recensisce come «caldi desideri» e «torbidi pensieri». Secondo la critica, anche se in maniera del tutto inconsapevole da parte del suo autore, Sogni segna il passaggio dalla cultura dell’800 a quella del ‘900 e si ricollega alla tendenza non solo artistica ma anche e soprattutto letteraria di raccontare giovani donne che anelano a una maggiore libertà e consapevolezza. Per questo viene definita opera «modernissima»: Elena, che all’epoca aveva ventitré anni, grazie alla forza del gesto e all’intensità dello sguardo è diventata l’emblema della belle époque italiana, di cui ben rappresenta l’atmosfera sospesa tra i desideri post adolescenziali e una sottile inquietudine.

 

Un pensiero su “Dal salotto fiorentino della “Gentile ignota” alla corte di Guglielmo II: il racconto della Belle Époque di Vittorio Corcos a Bologna

Lascia un commento