Dams50: l’esperimento trasformatosi in un successo lungo mezzo secolo
Tutto è nato dall’intuizione di un grecista, Benedetto Marzullo, ma oggi il Dams ha già scritto cinquant’anni di storia. Al via le celebrazioni che avranno il loro momento clou in Piazza Maggiore nel mese di giugno: l’intervista a Giacomo Manzoli
Di Federica Nannetti

1971. Tutto è partito come un esperimento grazie all’intuizione di un grecista, Benedetto Marzullo. Possibile che l’Alma Mater Studiorum, l’Università più antica del mondo occidentale, non proponga un corso di laurea dedicato all’arte, alla musica e allo spettacolo? E così, passo dopo passo, si è arrivati a celebrare il cinquantesimo compleanno del Dams, quel corso di laurea che, da sotto le Due Torri, ha avuto la forza di espandersi in tante parti d’Italia. Dalla sua primissima sede in strada Maggiore e da quelle successive sono passati nomi illustri, tra cui lo scrittore e saggista Pier Vittorio Tondelli, il cantautore Roberto “Freak” Antoni; senza dimenticare laureati ad honorem come Pina Bausch, Riccardo Muti e Martin Scorsese. Il cartellone di eventi per festeggiare questo traguardo è già partito e ha visto come prima ospite la giornalista, scrittrice e conduttrice Daria Bignardi, proprio colei che ha confessato una certa riluttanza iniziale in quanto «studentessa impaziente e poco integrata». Ma chi l’ha convinta a partecipare, il professor Luca Barra, le ha anche permesso di ammettere che, in fin dei conti, qualcosa avrà «respirato in quegli spazi» universitari, tanto da alimentare la «gioia inquieta» di fare radio, televisione e teatro. «L’occasione dei cinquant’anni ci ha spinto a girare per un attimo lo sguardo alla nostra storia – ha detto l’attuale direttore del dipartimento delle Arti, Giacomo Manzoli -. Senza nostalgia, ma con un po’ di orgoglio». E proprio lui ci ha anticipato il gran finale delle celebrazioni a fine giugno, in Piazza Maggiore. Tutto dedicato al grande Lucio Dalla.
Professor Manzoli, si sono aperte ufficialmente le celebrazioni per i cinquant’anni del Dams. Qual è stato il suo primo pensiero la mattina dell’inaugurazione?
«Più che con un pensiero mi sono svegliato con una speranza: la speranza che queste celebrazioni possano essere un momento di passaggio verso una rinascita per tutti, naturalmente, ma in particolare per il settore delle arti e della cultura; uno dei più colpiti da questa pandemia e dalla crisi che ne deriva. L’auspicio è poi che tutto possa trasferirsi in presenza, compresi gli appuntamenti già in calendario. L’incontro di apertura con Daria Bignardi è stato davvero molto piacevole: lei è bravissima, ma se avessimo potuto farlo in presenza sarebbe stato ancora meglio».

Citando le parole usate in apertura dal professor Luca Barra, cosa ha significato e cosa significa ancora adesso essere il direttore d’orchestra di questo cinquantenario?
«È sicuramente un’occasione doppia: da un lato è un motivo di orgoglio e di riflessione sull’identità passata di questo corso di laurea e, allo stesso tempo, di tutti quelli che ne sono derivati. Parlare di Dams, è bene ricordare, significa parlare di una costellazione di corsi di laurea triennali, magistrali e master, nonché di tantissime altre attività collegate in una rete non soltanto bolognese e che non riguardano soltanto la nostra Università. Il Dams coinvolge tantissimi altri atenei, come tante sono le istituzioni con cui dialoga in modo ampio e complesso. Dall’altro lato questa è un’occasione per guardare al futuro, interrogarsi per poi avere elementi ulteriori per capire gli investimenti più convenienti e per cercare di offrire una formazione in linea con le sfide del settore culturale. La sfida fondamentale è quella della messa in valore del nostro patrimonio artistico, perché siamo profondamente convinti che con la cultura si possa produrre ricchezza e una cittadinanza più evoluta e consapevole. E, del resto, lo è già stato per centinaia e centinaia di laureati. Ma, per continuare in questa direzione, è indispensabile saper cambiare alla stessa velocità con cui evolve una società a sua volta in continua trasformazione».
«Smettere di evolverci: l’unica cosa che non impareremo mai» è proprio il motto delle celebrazioni ma è anche un modo di essere. Secondo lei la consapevolezza dell’imprescindibilità di una trasformazione cha vada di pari passo con le arti è qualcosa che si acquisisce nel tempo o è una sensazione quasi innata?
«Credo si possa acquisire e, del resto, il Dams è nato proprio da una sfida molto simile. L’università, in ambito umanistico, è stata a lungo fortemente tradizionalista. L’idea era infatti che si dovessero studiare quelle cose che si erano sempre studiate, nel modo in cui lo si era sempre fatto. A partire dagli anni Settanta il quadro si è ampliato, facendo entrare nuove metodologie e, soprattutto, nuovi oggetti di studio. In fin dei conti il fondatore del Dams, Benedetto Marzullo, è stato un grecista e lo stesso vale per Umberto Eco, filosofo medievale di formazione. Solo successivamente ha studiato e introdotto in Italia la semiotica, disciplina che si pone alla confluenza tra il metodo scientifico e i più tradizionali metodi umanistici, occupandosi così di oggetti al centro dell’impresa culturale quali il fumetto, la letteratura popolare o la televisione. Ne emerge un contesto già all’epoca in via di cambiamento: l’università ha intrapreso un processo che l’ha portata a non essere più un luogo elitario come lo è stato fino agli anni Cinquanta, ma una università di massa. Questa è stata un’evoluzione virtuosa, che ha portato alla nascita di un luogo democratico e aperto a tutti. Di questo ce ne dobbiamo sempre ricordare, come anche della concomitante modificazione della società: non più un’entità chiusa ma, a sua volta, qualcosa di molto più complesso. In questo hanno giocato un ruolo determinante il sistema di informazione e di comunicazione, oltre a un sistema culturale sofisticato. Da qui è scaturita la sfida di un nuovo progetto formativo in grado di dare risposte alla richiesta di competenze sempre più specifiche».

A proposito di Umberto Eco, poco tempo fa è giunta la notizia del ritorno nella nostra Università dei suoi libri. Qual è il valore di un simile patrimonio?
«È un lascito dal valore inestimabile, perché Umberto Eco è stato uno dei principali intellettuali del Novecento e non solo nel panorama italiano. Io stesso ho avuto modo di viaggiare in tante università, dagli Stati Uniti alla Cina o al Giappone e, ovviamente, in tutta Europa. È un intellettuale conosciutissimo e amatissimo ancora oggi, ma che ha trascorso tutta la sua carriera accademica tra le aule della sua Alma Mater. Per questo penso che la conservazione nel nostro Ateneo sia la destinazione naturale della sua biblioteca, che è immensa. Avere qui un simile patrimonio di testi è anche motivo di orgoglio e di vanto, oltre a essere un’opportunità per i nostri studenti».
Anche lei ha studiato al Dams. Quali sono i ricordi più significativi degli anni da studente?
«I ricordi sono tanti, tantissimi. Per me il Dams è stato un approdo perché ci sono arrivato dopo aver iniziato il percorso di giurisprudenza. Mi sono bastati pochi esami per capire che sarei stato un pessimo avvocato e, così, ho deciso di seguire la mia passione per il cinema. E forse sono diventato un discreto storico del cinema, guadagnandoci in primis io stesso. I ricordi migliori sono legati ai professori che ho avuto l’onore di incontrare, a partire da Umberto Eco fino al mio maestro, Antonio Costa. Ma, accanto a loro, tantissimi altri con una passione per le rispettive discipline davvero contagiosa. Bei ricordi sono poi legati ai film e alle mostre che ho avuto la possibilità di vedere, nonché ai movimenti studenteschi e ai collettivi. Ho attraversato la stagione della Pantera (movimento studentesco di mobilitazione contro la riforma del ministro Antonio Ruberti, ndr) che, pur con i suoi difetti ideologici, è stata un momento di grande aggregazione, di scambio, di comunicazione e di creatività in atto».
In un momento come questo durante il quale, al contrario, siamo costretti a un distanziamento forzato, come si fa ad alimentare una certa creatività?
«Oggettivamente, è un problema. Le tecnologie digitali ci hanno fornito strumenti attraverso i quali si riesce, pur in una forma limitata, a portare avanti un rapporto con gli studenti. Adesso è il momento di resistere ed esercitare tutto il buon senso possibile per poter riprendere quel contatto fisico vero e proprio che è il cuore della vita sociale; ma è anche vero che si è verificata una rivoluzione digitale tale da rendere il mondo in cui viviamo un mondo integrato. Nel parlare di mutamento, proprio quello con il quale abbiamo intenzione di continuare a confrontarci, si fa riferimento anche a una piattaforma come Netflix, che ora rappresenta uno dei luoghi fondamentali per la circolazione delle opere audiovisive. Ma anche i videogiochi sono una frontiera, per i giovani di oggi, simile a ciò che per i giovani della mia generazione è stato il cinema, dunque uno strumento di creatività e di fusione tra contenuti e rispettivi significati. In questo momento è possibile sperimentare, attraverso lo schermo di un computer, ma è anche un momento di ripensamento e di riflessione, di creazione di nuovi contatti e di nuove reti».
Abbiamo parlato anche di cinema. Nel 2015 Toni Servillo ha ricevuto la laurea ad honorem e lui stesso sarà tra gli ospiti delle celebrazioni. C’è un passaggio della sua lectio magistralis che vorrebbe ribadire oggi ai suoi studenti?
«In realtà nessuno in particolare, ma per il semplice motivo che la speranza è che possa essere lui stesso a parlare nuovamente in pubblico, qui a Bologna. Abbiamo già concordato la possibilità, se le condizioni lo consentiranno, di averlo in presenza a metà maggio anziché ad aprile come inizialmente previsto. Periodo che si avvicina alla celebrazione della laurea honoris causa a Mimmo Paladino e a un’altra serie di eventi. L’auspicio è dunque quello di riaverlo con noi, di poter interagire e di far dire a lui stesso se il suo punto di vista sulle arti sia cambiato, anche a causa della pandemia, rispetto a quel giorno del 2015. Toni Servillo è un uomo di grandissima intelligenza, cultura e talento che saprà trasmettere nuovi stimoli in aggiunta a quelli di sei anni fa».

Qualche anno prima, nel 1999, è stata conferita la laurea ad honorem anche a Lucio Dalla. Che momento è
stato?
«Il giorno della sua laurea Lucio Dalla ha fatto qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima e, probabilmente, che nessuno ha riproposto dopo: una lectio magistralis durante la quale ha lasciato parlare il clarinetto, il suo strumento di elezione. Dalla è sempre stato un musicista poliedrico, ma con una straordinaria passione per questo strumento: lo ha smontato, rimontato e suonato in mille modi diversi, tanto da farci capire quanto si possa essere intelligenti nelle forme più alte e più nobili senza però usare le parole. Ha cioè usato quelle parole molto particolari e bellissime che sono le note musicali. Lucio Dalla sarà poi celebrato l’ultima sera in Piazza Maggiore con un concerto degli Avion Travel dedicato proprio a un disco, oggi si direbbe a un concept album, di Lucio Dalla e scritto dal poeta Roberto Roversi, dal titolo Anidride solforosa. Il concerto riproporrà, in modo rivisto, questa bellissima opera di Lucio».
Ma il momento clou sarà il finale di giugno. Oltre a questo, cosa ci dovremo aspettare?
«L’ultimo giorno il concerto degli Avion Travel sarà seguito dalla proiezione di una docufiction girata da Ambrogio Lo Giudice e dedicata ai cinquant’anni del Dams. Ma altrettanto importanti saranno le serate precedenti con un concerto di Stefano Bollani e con uno spettacolo teatrale di un nostro laureato, ovvero Marco Martinelli. Il tutto sempre in Piazza Maggiore. Ci sarà poi una mostra dedicata a Mimmo Paladino in Salaborsa, preludio della laurea ad honorem in Dams che gli sarà conferita il 14 maggio e, ancora, una mostra dedicata anch’essa al cinquantenario all’interno del museo della musica in via Guerrazzi, sede storica del Dams. E, infine, tante installazioni di giovani artisti e altrettanti manifesti che verranno affissi grazie al progetto Cheap, famoso per aver dato nuova vita ai muri della nostra città».