Enrico De Angeli; un architetto dimenticato

Come ogni posto nel mondo, anche Bologna soffre di amnesie e a volte dimentica qualche suo concittadino importante. Uno di questi è senza dubbio l’architetto Enrico De Angeli.

Ammettendo che il caldo di quest’estate non ci abbia del tutto fiaccato, questo scorcio di agosto potrebbe farci tornare la voglia, se viviamo in città, di passeggiare oltre le mura. Se si supera Porta Castiglione e si sale per meno di un chilometro, costeggiando i Giardini Margherita, ci si troverà di fronte a una scelta: proseguire per via dei Sabbioni o curvare verso l’Ospedale Rizzoli prendendo via Vittorio Putti. Dopo qualche metro, alzando lo sguardo verso il Colle di San Mamolo, si vedrà un volume architettonico bianco e squadrato forato da un grande oblò, come una nave che spunta da un mare di verde.

Non è una visione dovuta alla fatica, è Villa Gotti (1933-1936) il capolavoro di Enrico De Angeli (1900-1979), uno dei migliori architetti bolognesi del Novecento. Figlio di un ex garibaldino, progettista precoce, tanto che a dodici anni vince un premio per un modello di aeroplano, De Angeli è tra i più rilevanti interpreti del razionalismo in Italia, eppure a Bologna lo ricordano in pochi. Anche volendo dar conto del solito “nessuno è profeta in patria”, la smemoratezza nei confronti di De Angeli forse ha più di un motivo.

Enrico De Angeli, Villa Gotti, 1933-1936, particolare della finestra circolare, © Biblioteca Sala Borsa

Il primo è la fama di oratore incalzante e polemico. Raccontano che lo si trova nei bar mentre discute animatamente e schizza disegni su ritagli di giornale o fazzoletti di carta, come nei migliori cliché da artista di Montparnasse. Pare tuttavia che le sue non siano invettive, piuttosto sono ingaggi dialettici che si riversano sin dal 1925, un anno dopo la laurea, su periodici come Il Resto del Carlino, Il Secolo XIX e molti altri. Tra i bersagli polemici c’è persino il suo amico Giuseppe Vaccaro, anch’egli grande architetto razionalista, autore della splendida facoltà di ingegneria.

Il secondo motivo potrebbe avere a che fare proprio con la complessa vicenda del razionalismo bolognese: lo stile architettonico che tra gli anni Venti e i Trenta fa della geometria e della pulizia dei profili un valore assoluto trova poche opportunità in una città tutto sommato attaccata alla tradizione come Bologna. Può un movimento che riduce l’architettura a puri rapporti matematici, immerso nel cemento armato e privo di decorazioni, andare d’accordo con ‘le solite colonnette sceme, i non meno soliti portali tipo cinquecento’ che un critico di allora vede sorgere ancora in città? Non tutta l’architettura bolognese si comporta in questo modo, però è vero che il gruppo locale del Miar (Movimento italiano per l’architettura razionale) è a lungo emarginato e Vaccaro preferisce operare a Roma o al più a Napoli.

Enrico De Angeli, valigeria Cremonini, 1971, © Biblioteca Sala Borsa

Una terza e non meno influente ragione è la politica antiebraica che colpisce tutta la sua famiglia, radiando lui dall’albo degli ingegneri e costringendo il fratello in un campo di concentramento tedesco, dove morirà. Da questo momento per De Angeli sarà un susseguirsi di fatiche economiche ed esistenziali che lo vedrà ostinarsi in una città avara di committenze, senza una casa fissa e costretto ad abitare in alberghi. 

E pensare che nel 1931 sembra prevedere la china pericolosissima dell’antisemitismo fascista in Italia, quando risponde ai ventidue paragrafi pubblicati su Il Selvaggio dall’artista Ardengo Soffici a proposito dell’architettura contemporanea. Soffici, che negli anni Dieci era stato un punto di riferimento per l’avanguardia italiana nei suoi rapporti con la Francia, ora dirige le fila dei più crudi reazionari, vagheggiando una ‘latinità’ o un’italianità’ dell’architettura che ponga fine a ogni esperimento ‘esotico e repellente’. De Angeli scrive una lettera a L’Italia letteraria in cui smonta pazientemente, punto per punto, tutte le affermazioni deliranti di Soffici, anche quelle in cui desidera che il fascismo ponga fine alla ‘confusione’ nelle arti e imponga uno ‘stile unico’; cosa, almeno quella, che in Italia per fortuna non si avrà mai. Ma l’anticipazione più inquietante di ciò che avverrà è nella logica divagante e propagandistica che per Soffici lega ebraismo, massoneria e ‘modernità internazionale’ dell’arte. La coraggiosa replica di De Angeli comincia col perentorio “Il sottoscritto è ebreo”. Spesso il razionalismo è un gusto caro al regime, ma il caso di De Angeli è uno di quelli per cui i due termini non vanno proprio sovrapposti.

Per confutare il merito delle critiche di Soffici alle nuove architetture, per esempio quelle per la presunta assenza di calore umano nei progetti razionalisti, basterebbe entrare a Villa Gotti. Certo, oggi la villa è un Bed & Breakfast di lusso e non sarebbe un passatempo economico, ma allora si sbircerebbero le foto sul sito: i volumi dell’edificio, articolati lungo il notevole dislivello della collina, presentano facciate a partitura diversa, senza indicarne una principale, ma prevedendo finestrature che invadono la casa di luce. 

Se invece volessimo tornare al tema ebraico, potremmo fare un giro al Cimitero israelita alla Certosa di Bologna, dove si trova la splendida Cappella Finzi, finita nel 1938 un attimo prima dalle persecuzioni razziali. La struttura, dalle coperture in granito grigio-verde, è di una semplicità aerea, organizzata come una specie di veranda domestica che sembra cogliere il senso del nome ebraico per il cimitero, Bet Ha-Chaim, ossia ‘casa dei viventi’.

Enrico De Angeli, Cappella Finzi, 1938, Cimitero ebraico, Certosa di Bologna, © Stefano Zagnoni

I modi per ricordare De Angeli, perciò, sarebbero tanti. Magari ce ne verranno in mente alcuni mentre passiamo in via Rizzoli 7 e gettiamo un’occhiata all’ex negozio Corradi (1954), al suo originale e calcolato gioco di vetrine della guardiola o agli incredibili dispositivi, anche a scomparsa, dove si custodisce la merce ai piani superiori. Oppure rileggendo gli articoli in cui, nonostante il fiero avanguardismo giovanile, De Angeli preferisce i ‘diradamenti’ del tessuto urbano ai più violenti ‘sventramenti’, o quando prefigura una selezione attenta dei colori degli edifici cittadini, molti anni prima dell’entrata in vigore di qualsiasi vincolo delle Soprintendenze.

Enrico De Angeli, ex negozio Corradi, 1954, un interno, © Oscar Ferrari

Foto di copertina; Enrico De Angeli, Villa Gotti, 1933-1936, visione attuale di un interno, © Villa Gotti Charming Rooms

 

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