“Fino all’estremo”, Andrea Pazienza in mostra a Palazzo Albergati
Il genio del fumetto nella sua Bologna a 24 anni dall’ultima antologica
di Silvia Rizzetto
«Una laurea ad honorem a 60 anni? Chi lo sa che ci sarà il Dams, chi lo sa se ci sarò io». Il Dams non ha potuto festeggiare il suo 50esimo compleanno con Andrea Pazienza, l’autore di questa battuta ai microfoni di Rai 3, spentosi a 32 anni nella notte del 16 giugno 1988. Nella sua breve esistenza, il fumettista pugliese non era «mai tornato indietro, neanche per prendere la rincorsa», parafrasando una massima di Fidel Castro che troviamo in una sua tavola. Infatti, con la sua linea tagliente, Pazienza aveva tracciato la sua strada Fino all’estremo. Locuzione non casuale, la leggiamo in apertura alla prima stesura degli Ultimi giorni di Pompeo, opera finale nonché testamento artistico dell’autore, la ritroviamo a Bologna come titolo della mostra antologica dedicata all’artista ospitata a Palazzo Albergati e visitabile fino al 26 settembre.

Il percorso espositivo inizia dai disegni di Pazienza sugli ultimi istanti di vita di Pompeo, un lento declino che in mostra viene messo a confronto con le riproduzioni digitali della prima via crucis dell’arte italiana, quella di Giandomenico Tiepolo custodita nella chiesa di San Polo a Venezia. La differenza non è soltanto tecnica, ma contenutistica: Pompeo pecca ma non può redimersi, a lui la resurrezione è negata. Il protagonista si avvicina alla morte con timore, a volte ne è attratto, perché solo con essa finiranno i suoi dolori, arriverà la sua quiete tanto agognata. Accetta il passaggio agli inferi senza il minimo sforzo: «Si buttò come fosse stato, all’improvviso, spintonato», scrive Pazienza, mentre l’inchiostro nero si sparge ferocemente sul foglio a quadretti. Mai Pazienza avrebbe più realizzato un’opera, come ammise, «mettendo le viscere sul tavolo», rivelando al pubblico il suo vero io, mai nessun fumettista aveva finora raccontato con lucidità l’eroina, il male che sconfigge Pompeo, lo stesso che porterà alla morte il suo autore.
Dal salto nel vuoto di Pompeo si riavvolge il nastro del tempo. La mostra prosegue verso le opere che celebrano l’estro di Pazienza, che lo consacrano a rockstar della nona arte. Sono gli anni delle sperimentazioni sulle riviste d’avanguardia Cannibale e Frigidaire, della rottura con il fumetto del passato e dalle sue visioni edulcorate. Pazienza è un pioniere, spiattella il presente senza tralasciare ogni minimo dettaglio, anche se crudo o scabroso. Nel realismo sfrenato del fumettista si fa strada il ragazzaccio Massimo Zanardi, che debutta su Frigidaire nel 1981. Ciuffo biondo, occhi azzurri e naso aquilino, “Zanna” è il profilo più celebre del fumetto italiano. Le sue non sono bravate ma vere e proprie azioni criminose, furti e aggressioni sono all’ordine del giorno per il terribile trio di cui è leader. Zanardi è protagonista di vicende disastrose dove la morte e la violenza sono onnipresenti: arriva persino a picchiare il suo creatore, come volesse punirlo per avergli dato la vita. Lo vediamo insieme ai suoi inseparabili compagni di disavventure, il bel Roberto “Colas” Colasanti, braccio della banda e lo sfortunato Sergio “Pietra” Petrilli, disegnato quasi come una caricatura, del quale ci si domanda se anche lui è vittima del branco. Ribelle in classe e sensuale nel «clebbino», in mostra Zanardi si può vedere in una veste insolita, fanciullesca: in alcune tavole è rappresentato avvolto nelle coperte mentre sogna mondi ed epoche lontani. I disegni di Pazienza sono accompagnati dalle fotografie dei giovani autori dei più efferati omicidi italiani quali il massacro del Circeo e l’assassinio di Willy Monteiro, a testimonianza che Zanardi è vivo e si nasconde nella società, anche nei luoghi apparentemente tranquilli.

Si procede fino agli anni in cui Pazienza era soltanto l’Andrea iscritto al Dams di Bologna, un corso di laurea giovanissimo fondato nel 1971, tre anni prima della sua immatricolazione, che attirava in città i più creativi: finalmente in Italia si potevano studiare materie artistiche come il cinema, la fotografia, il teatro, la danza e la musica. Da quella «scuola di drogati» -battuta di un suo personaggio – Pazienza assistette al terribile 1977, nel pieno clima di agitazioni studentesche, tra ideologie opposte e repressioni delle forze dell’ordine. In questo scenario da guerriglia urbana si inserisce Andrea “Pentothal”, protagonista delle omonime Straordinarie avventure, un giovane studente del Dams con la passione per il disegno: è chiaramente l’alter ego del fumettista. Vive un mondo tutto suo, con le sue paranoie e i suoi amori, mentre cerca affannoso il proprio spazio nella società. Siamo di fronte all’opera di debutto di Pazienza e già si nota il suo stile inconfondibile, quel flusso di coscienza ininterrotto che si espande come un fiume in piena. Il lettore si lascia trascinare dalla narrazione, seguendo il testo disperso nella tavola, non più separato in riquadri come avveniva nel fumetto classico. Impossibile non sorridere alle battute di Enrico Fiabeschi, personaggio secondario che è entrato nell’immaginario comune attraverso il film Paz! di Renato De Maria. Anche Pentothal come Pazienza è stravolto dalla morte dello studente di Lotta continua Francesco Lorusso, avvenuta l’11 marzo per mano di un carabiniere che, intervenuto per sedare degli scontri studenteschi, sparò alcuni colpi ad altezza d’uomo per disperdere la folla di universitari accalcata in via Mascarella. Un episodio che ferì la comunità bolognese, lo vediamo dalle fotografie di Enrico Scuro a corredo della mostra, che portò l’autore a sostituire l’ultima tavola di Pentothal e a consegnarla in tempo per la stampa. «Vi giuro, credevo fosse uno sprazzo, era invece un inizio», fa dire al suo personaggio, che spalanca gli occhi incredulo all’ascolto della tragica notizia su Radio Alice, la radio libera che aggiornava in tempo reale ciò che succedeva all’università. In una sola pagina, Pazienza aveva racchiuso la grande forza del movimento del ’77 e aveva anticipato il genere del graphic journalism.

Sono oltre 100 le opere esposte, alcune provengono dalle persone che sono state più vicine all’artista, il fratello Michele e la sorella Mariella, la moglie Marina Comandini e l’ex compagna Elisabetta “Betta” Pellerano, a Palazzo Albergati raffigurata in tre ritratti. Sono tavole originali – vediamo persino le correzioni di Pazienza – e opere pittoriche, lavori fatti con materiali diversi, dalla matita ai colori acrilici, dalle tempere ai pennarelli, dimostrazione che Pazienza in soli 11 anni di carriera riuscì ad adattare la sua tecnica a più registri stilistici. Seppe destreggiarsi non solo con la scala di grigi ma anche con i colori. Sono pigmenti vivacissimi, se pensiamo alla curiosa riproduzione di Rembrandt nel quadro Corteo a Bologna, alla riccia chioma corvina di Betta, al terrore negli occhi di Petrilli e al viso angelico del dandy Colas, infine al cranio della Morte di Campofame, storia dell’uomo che sconfisse la nera signora. Si rimane ipnotizzati dalle tinte delle copertine degli album di Roberto Vecchioni, poi si torna al bianco e il nero con il presidente della Repubblica Sandro Pertini e l’eroico cane di Annibale Astarte, protagonista di una storia incompiuta, l’ultima uscita dalla matita di Pazienza. Con l’afosa mattina di sabato 2 agosto 1980 si conclude la visita, con l’assordante «Buum» della bomba alla Stazione centrale che infrange i sogni della gente comune e fa tacere le allegre chiacchiere estive, mettendo definitivamente la parola fine.

Una mostra che segna il ritorno sotto le Due torri del genio delle strisce a 24 anni dall’ultima personale a Palazzo Re Enzo. Genio senza tempo, perché il suo racconto brillante continua inarrestabile a dialogare con il presente. Cambiano le mode, i dispositivi di telecomunicazione, le musiche e i partiti politici, ma negli stessi appartamenti fatiscenti sopra i portici possiamo tuttora trovare i Pentothal che litigano con i Robbè, il Dams si è trasferito dalla storica sede in via Guerrazzi 20 ma agli esami si fanno ancora strafalcioni come quelli di Fiabeschi su Apocalypse Now, mentre i bulli delle scuole non sono meno tremendi di Zanardi. E «Francesco vive», è scritto in uno striscione appeso in piazza Verdi. Un percorso artistico, quello a Palazzo Albergati, che si intreccia con i capitoli più oscuri della storia recente. Un ripasso per i coetanei di “Paz”, delle lezioni alternative e preziose per le nuove generazioni.
