Giambi, l’arte come opera aperta

Numerose e diversificate sono le tecniche e i linguaggi artistici di Patrizia Giambi. Artista romagnola, nata a Lugo, nel suo percorso di ricerca artistico si è avvalsa di scultura, disegno, performance, installazioni e tanto altro ancora sulla scia della contaminazione tra molteplici discipline.

Dopo la formazione all’Università di Bologna all’allora facoltà del magistero, ha debuttato agli inizi degli anni Novanta nel capoluogo bolognese compiendo in seguito un percorso internazionale. A Los Angeles in particolare è entrata in contatto con le tendenze californiane più all’avanguardia dell’epoca. Nel suo percorso più che trentennale indaga la natura dell’arte e la esplora in tutte le sue forme ed espressioni, uno spazio aperto che non si può spiegare ma solo sperimentare. 

So che si è laureata in lettere moderne all’Università di Bologna. Come ha influito questo percorso sulla scelta di diventare artista?

«L’Università mi ha dato la disciplina e il metodo e mi ha insegnato a guardare il soggetto di studio da molte angolature, di conseguenza mi ha ampliato la mente. L’arte in realtà non l’ho scelta, non l’ho cercata, l’ho incontrata ed è stata un’epifania, una rivelazione che mi ha deviato il percorso di vita. Come neolaureata mi ero iscritta a Londra al Westminster College per perfezionare l’inglese e per mantenermi lavoravo come modella di pittura al Art&Craft College. Alla fine delle sedute ho visto i venticinque elaborati degli studenti, ed ero io ritratta in venticinque modi totalmente diversi l’uno dall’altro. Qualcosa mi è scattato in testa. Ho improvvisamente capito che l’arte era la libertà che stavo cercando. Questa libertà è poi diventata un percorso autodidatta di ricerca artistica che ho sviluppato col compagno artista di allora, Maurizio Cattelan, insieme fondammo un laboratorio creativo su cui esistono pubblicazioni e cataloghi che coprono tutti gli anni ottanta».

Ha lavorato molti anni anche all’estero. Come ha influito questa esperienza sulla sua ricerca e pratica artistica?

Patrizia Giambi, Senza Titolo, 1991, stampa ai sali d’argento, cm 70×100 (collezione privata, Miami)

«Super, è stato super! Così tanti anni nel melting pot californiano mi hanno messa a mio agio nell’ambiente dell’avanguardia e resa disinvolta nella sperimentazione. Negli anni novanta ho vissuto a Los Angeles dove ho lavorato in stretto sodalizio con la nota curatrice Sue Spaid fino ad esporre con la sua curatela al Santa Monica Museum of Art insieme ad artisti quali Yoko Ono e John Cage».

Come descriverebbe il suo stile artistico e come si è evoluta la sua arte nel corso degli anni? «Opera aperta? Si, forse. Ho creato forme con materiali soggetti alla modifica del caso come le sculture di bolle di sapone e ho innescato dispositivi di trasformazione consentendo al pubblico di essere parte del risultato come in Consistence, Misurazione del peso dei visitatori di una mostra, sempre guidata dal principio di Pareyson per cui la verità non la si afferra se non nella forma di doverla cercare ancora. Fare Arte è un Fare che mentre Fa, inventa il suo Modo di Fare. Negli anni cambiano gli scenari, le occasioni, i materiali, i collaboratori, ma il leit-motiv rimane l’espansione del pensiero».

Negli ultimi anni si è avvicinata ai temi dell’ambiente e dell’ecologia. Tra i lavori realizzati l’Acqua che manca. Come è nato questo progetto? In che modo l’arte può influenzare la società e risvegliare una sensibilizzazione e responsabilità collettiva su questi temi?

«Quattro performer si scambiano incessantemente l’acqua contenuta in una ampolla di vetro. L’azione vuole occuparsi non solo del problema idrico che affligge il mondo, vuole anche dissetare la mente con un piccolo gesto carico di ritualità antica e offrire acqua rinfrescante all’ambiente umano. Grazie all’arte e al suo linguaggio misterioso, si può instillare il dubbio nella mente degli osservatori e offrire esempi di pratiche alternative nella realtà senza la sicumera dei programmi dirigenziali. Ho sviluppato sul tema dell’acqua il mio contributo di arte pubblica dietro richiesta della rassegna Emergenze Creative 2016 a Ravenna con il patrocinio del ministero dell’Ambiente».

Patrizia Giambi, Acqua che Manca- 2016 performer per Emergenze Creative, Ravenna

In un certo senso anche il Museo diffuso dell’Abbandono realizzato in Romagna ha a che fare con una responsabilità collettiva legata alla cura del territorio e della memoria. Quali i messaggi da veicolare?

«La cura del territorio e della memoria nel progetto del Museo diffuso dell’Abbandono è il target del gruppo Spazi Indecisi che si occupa di recupero leggero d’uso di spazi abbandonati. Alla loro richiesta di contribuire come direttore artistico al progetto ho elaborato un piano senza critica né denuncia dell’abbandono, né pretesa di recupero edilizio e ho lavorato con i media per riportare i luoghi dimenticati a rivivere nell’immaginario contemporaneo facendo intravedere la bellezza e il fascino della rovina attraverso le atmosfere e gli odori, disseminati come madeleine locali nel paesaggio. Nel mio approccio i riferimenti sono andati da Gordon Matta Clark, artista speleologo, all’apnea di Matthew Barney, agli accumuli ostruttivi di Gregor Schneider, alla solitudine delle architetture di Michelangelo Antonioni alle atmosfere di Tarkowsky».

Tra tutte le sue opere artistiche, c’è un progetto a cui è particolarmente legata o che le ha dato particolare soddisfazione. Perché?

«Minus equals plus, cioè la scoperta del Metro Elastico, è una grande soddisfazione intellettuale. La misura individuale esiste ed è grazie ad un materiale elastico, è l’elastico graduato con le cifre incise del metro convenzionale, ma è una unità di misura che si modifica, il metro elastico espande la sua forma senza variare la sua massa e la cifra incisa. Lo scopo del lavoro è che ciascuno trovi la propria misura…… Così facendo, introduco la soggettività nell’ istituzionalità».

Può anticiparci qualcosa dei suoi futuri progetti?

«Sto lavorando con un amico poeta e musicista, suonatore di sax e percussioni, ad un abbecedario dell’arte, di sua invenzione lirica. Ho disegnato a braccio, con segni istintivi, utilizzando colori, matite e chine su grandi tavole già predisposte con le poesie. Ne uscirà un evento pubblico multimediale e una pubblicazione».

Quali consigli darebbe a chi vuole intraprendere una carriera artistica?

«Di correre a perdifiato tenendo per mano sostenitori e collaboratori».

Sito Internet di approfondimento: https://patriziagiambi.it/bio

Patrizia Giambi, Alfabeto, 1992-93, stampa colori carta Kodak cm 700 x10 la bocca sostituisce le lettere dell’alfabeto (collezione privata, San Francisco CA)
Patrizia Giambi, Lavori su carta, 2011, tecniche miste
Patrizia Giambi, 83 Sospiri per una mostra 2002 vetro soffiato, edizione di 83 elementi ognuno cm 20x25x10
Patrizia Giambi, Cervello, Generazione di bolle di sapone a massa costante, 1993, Sapone liquido, pompa ad aria, posacenere, alluminio, cm 30x30x25. Sapone liquido, pompa ad aria, posacenere, alluminio, cm 30x30x25.  L’opera va nutrita.

Foto di copertina: Patrizia Giambi, Typewriter,  Macchina da scrivere, 1992, modificata e funzionante, la bocca sostituisce le lettere dell’alfabeto (collezione privata, San Francisco CA- Milano)

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