Giornata della Memoria: una ricerca mostra gli abusi dei concetti storici e le loro conseguenze

di Medea Calzana.

Ha ancora senso, oggi, parlare di fascismo, nazismo e razzismo? È quanto ha cercato di mettere in luce una ricerca condotta da un gruppo di docenti e studiosi, provenienti da campi di conoscenza diversi, dell’Alma Mater. Un tema attualissimo, visto che proprio il mese di gennaio è dedicato a ricordare le vittime dell’Olocausto. Una ricorrenza che cade il 27 gennaio, “Giornata della memoria”, come stabilito dalle Nazioni Unite dal 2005. 

I ricercatori hanno analizzato i concetti di fascismo, nazismo e razzismo da diverse prospettive, in primis quella semiotico-linguistica. Giovanna Cosenza, docente di Filosofia e teoria dei linguaggi spiega: «Abbiamo notato che alcune metafore sono ricorrenti, questo anche prima della pandemia: razzismo, nazismo e fascismo sono descritti come malattie che si propagano. Dopo la pandemia la metafora del virus è ancora più evidente. Poi sono utilizzate metafore spaziali: razzismo, fascismo e nazismo entrano negli spazi della società civile che deve difendersi da questa invasione, agendo in difesa. Si sottolinea la grande velocità con cui il “virus” si diffonde o gli “invasori” prendono piede. Dall’altro lato, le istituzioni e la società civile sono dipinti come statiche e passive».

L’analisi dei media, condotta tra novembre 2019 e ottobre 2020, ha riguardato 443 articoli di quotidiani e 48 ore di programmazione televisiva generalista e ha rilevato il frequente ripetersi dei concetti di fascismo, nazismo e razzismo. Tutto ciò però non assume quasi mai i toni dell’emergenza: si sottolinea, puntualmente, che sono fenomeni confinati a piccoli gruppi, carnevalate o goliardate a cui non bisogna dare troppo peso perché inserite in un contesto democratico. Solo se riferiti al passato, sono proposti come nettamente negativi.

«Viene data una visione edulcorata e tranquillizzante. Se guardiamo ai numeri i momenti televisivi e articoli in cui questi fenomeni sono rappresentati come nettamente negativi sono una netta minoranza: meno del 20% nei quotidiani. Nella grande maggioranza dei casi quando si rappresenta razzismo, nazismo e fascismo come valori totalmente negativi è quando si parla di questi movimenti come fenomeni storici. Quando ci si riferisce al presente abbiamo contorni valoriali più sfumati – continua la professoressa Cosenza – Qual è il problema? È che l’analisi deve essere inserita all’interno del contesto della comunicazione di massa. Da un lato c’è la questione della ripetizione: più ripeti un concetto e più si svuota dal punto di vista dei significati. Più si ripete una parola più viene meno la forza spregiativa che si voleva comunicare. È un po’ come il turpiloquio: le parolacce più vengono usate e più hanno meno forza e sembrano parole meno volgari. Si arriva, quindi, a una sorta di normalizzazione».

Se da una parte la società, quindi, è come anestetizzata dall’uso ripetuto di queste espressioni, dall’analisi  del quadro normativo vigente emerge un’idea di fascismo connessa strettamente al pericolo concreto di ricostituzione di organizzazioni di stampo fascista. Ciò prova che, a differenza di quanto accade nella società civile, istituzioni e magistratura hanno mantenuto nel tempo un atteggiamento vigile verso le manifestazioni estremiste, senza abbassare la guardia.

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