Il maestro d’orchestra Hartmut Haenchen al Teatro Auditorium Manzoni di Bologna

di Giovanni Neri

Il direttore d’orchestra Hartmut Haenchen, ha diretto lo scorso 1 aprile l’orchestra del Teatro Comunale di Bologna all’Auditorium Manzoni, dopo ben trentadue anni. Dopo essersi trasferito in Olanda nel 1986, Haenchen ha lavorato nei maggiori teatri del mondo, da Parigi a Londra, da Tokyo a Madrid, fino al debutto nel 2016 al Festival wagneriano di Bayreuth dove è stato acclamato per il suo Parsifal.

Un programma che vede due stili e due epoche assolutamente contrapposte. Da un lato uno Schubert postumo ma giovanile (la sinfonia fu composta quando aveva 18 anni) e “arioso” (non trovo un’ espressione che meglio rifletta la mia sensazione) che corrisponde a  un periodo sereno della vita del compositore austriaco e dall’altro un Bruckner al limite delle sue elefantiache composizioni (una sinfonia di durata intorno ai 60 minuti).  Il brano schubertiano è di forte impronta mozartiana e prevede un organico ridotto che indica una sua destinazione prettamente cameristica. Non sono certo che l’appellativo “Wagner-Symphonie” sia particolarmente significativo per la sinfonia di Bruckner (ma si tratta di fatto di una dedica a un compositore idolatrato) se non per un uso massiccio degli ottoni che però si riscontra in molte delle sue composizioni. Nella terza sinfonia di Bruckner (di cui onestamente non sono un fan) mi pare di percepire la mancanza di una visione unitaria della partitura come se i vari tempi (e in particolare l’ultimo) fossero un accumulo di temi posti in parallelo e non in serie. Questo è stato probabilmente alla base del suo insuccesso anche se fu più volte rimaneggiata. Debbo anche dire – con molta franchezza – che per motivi legati alla mia esperienza di esecutore i concerti puramente sinfonici mi appaiono in qualche misura monchi. L’assenza di un brano concertistico con strumento solista mi appare un impoverimento del concerto ma ammetto che questa sia una mia personale carenza.  La direzione di Hänchen è stata di ottima qualità, forse meglio espressa nella direzione di Schubert che in quella di Bruckner (e della esperienza e conoscenza dell’ordito musicale  in certa misura ne fa fede anche l’assenza della partitura scritta in Schubert a differenza del caso di Bruckner). Ma va certamente ricordato che dirigere un Bruckner di quella ampiezza (e come ho sottolineato con molte disomogeneità) è compito assai arduo e quindi un plauso incondizionato alla prestazione. Va anche apprezzata l’assenza della prassi, molto in  voga negli ultimi anni, di sollecitare l’applauso per le singole sezioni dell’orchestra riconoscendo che anche se esistono passi solistici è dall’amalgama complessivo che può essere valutata un’esecuzione.  Un grande successo di pubblico (e anche dell’orchestra) ha sottolineato l’apprezzamento di un direttore fra i migliori che abbiamo ascoltato recentemente.

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E-mail: giovanni.neri@unibo.it

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