Il wellness regionale e le diseguaglianze sociali
I numeri elaborati dall’Osservatorio regionale sono positivi: nella Wellness Valley più della metà della popolazione è attiva (55% contro 46% a livello nazionale); l’esercizio fisico rappresenta un potente farmaco e la Regione Emilia-Romagna è stata la prima in Italia ad aver introdotto la prescrizione in ricetta medica per la prevenzione e cura di patologie. «I benefici derivanti dal wellness sono colti in misura maggiore dagli strati più abbienti della società, mentre le conseguenze negative per la salute causate dall’inattività tendono a concentrarsi negli strati sociali più poveri», dichiara il prof. Antonio Francesco Maturo, designato dall’Ateneo quale componente dell’Osservatorio regionale .
Grazie al contributo fondamentale dell’Ateneo proseguono le attività di ricerca dell’Osservatorio regionale per lo studio della Wellness Valley, che seleziona ed aggiorna periodicamente indicatori di wellness, al fine di produrre un quadro sintetico ed esaustivo del benessere individuale e collettivo nella Regione Emilia-Romagna. Proprio a fine febbraio 2023 è stato reso pubblico il più recente rapporto elaborato dall’Osservatorio, in occasione di un importante workshop al Technogym Village.
Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare su queste tematiche il prof. Antonio Maturo, ordinario di sociologia generale, nonché uno dei membri designati dall’Ateneo a far parte del gruppo di lavoro multidisciplinare dell’Osservatorio in questione.
«In tema di salute a livello globale – esordisce il prof. Maturo – stanno emergendo nel mondo alcune tendenze che vanno analizzate con grande attenzione. Il dato più rilevante è rappresentato dalla crescita dell’aspettativa di vita: negli ultimi tre decenni il numero di persone con più di 60 anni è raddoppiato. Si prevede addirittura che nel 2050, per la prima volta nella storia, il loro numero supererà quello dei giovanissimi fino ai 14 anni. In alcuni paesi, tra cui l’Italia, nello stesso anno oltre un terzo degli over 60 sarà composto da ultraottantenni».

Questo dato, in apparenza positivo, potrebbe nascondere conseguenze non altrettanto favorevoli per la società e per il sistema sanitario. Infatti, se i progressi della scienza medica potranno contrastare sempre più il numero dei decessi degli over 60, non necessariamente arresteranno anche il progredire di malattie croniche, che quindi potrebbero continuare a coinvolgere i cosiddetti grandi anziani per un numero forse ancora maggiore di anni, con un’importante compromissione della loro qualità di vita.
In parallelo, se si esamina l’andamento delle cause di morte (pandemia da Covid a parte), si può notare come le malattie non trasmissibili, cioè quelle cardiovascolari e respiratorie croniche, oltre a cancro e diabete, incidano ormai annualmente nel mondo per il 63%. Si tratta di malattie che possono essere ostacolate in maniera efficace intervenendo su fattori di rischio quali tabagismo, scarsa attività fisica, dieta povera, consumo eccessivo di alcol. «Però – aggiunge il sociologo UniBo – mai come nell’epoca attuale le persone sono state così sedentarie. Ricerche recenti hanno messo in luce un preoccupante declino dell’attività fisica a livello mondiale. Questo fenomeno, per ora concentrato soprattutto nei paesi ad alto reddito, si sta estendendo anche ai paesi in via di sviluppo. Lo status socio-economico delle persone, connesso ai livelli di reddito ed istruzione, mostra una correlazione diretta con la frequenza dell’attività fisica. Di conseguenza, i benefici derivanti da questa attività sono colti in misura maggiore dagli strati più abbienti della società, mentre le conseguenze negative per la salute causate dall’inattività tendono a concentrarsi negli strati sociali più poveri».
L’inattività fisica sta affermandosi di pari passo con l’emergere progressivo dell’obesità. Più di 2,1 miliardi di individui, pari al 30% della popolazione mondiale, sono sovrappeso oppure obesi. Questo numero supera di due volte e mezzo quello delle persone denutrite. Se l’obesità, che è una condizione prevenibile, continuerà ad aumentare con il ritmo attuale, entro il 2030 quasi la metà della popolazione adulta sperimenterà questa situazione. «Anche in questo caso – osserva il prof. Maturo – la diseguaglianza sociale è fortemente coinvolta nel generare obesità. Sono numerosi i fattori implicati. Spesso i cibi a rischio elevato di generare obesità sono meno costosi e più facilmente disponibili dei cibi sani. Inoltre è stato documentato che un consumo alimentare in eccesso di junk food può assolvere ad una funzione di gratificazione immediata per quelle persone che hanno poche risorse economiche per sperimentare altre forme di piacere».
Dunque uno sforzo tra le istituzioni, Regione, enti locali, Università, a più livelli, verso la promozione di stili di vita salubri, come quello attuato grazie al progetto “Wellness Valley – Romagna Benessere”, può rendere più probabile il contrasto all’affermarsi delle tendenze appena delineate. Inoltre, è ipotizzabile che, nel medio e nel lungo periodo, possa aiutare il sistema sanitario pubblico a risparmiare risorse economiche grazie alla prevenzione dell’insorgere di malattie e disabilità. «I numeri elaborati dall’Osservatorio regionale sono tutti favorevoli – conclude il prof. Maturo – nella Wellness Valley più della metà della popolazione è attiva (55% contro 46% a livello nazionale). L’esercizio fisico rappresenta un potente farmaco e la Regione Emilia-Romagna è stata la prima in Italia ad aver introdotto la prescrizione in ricetta medica per la prevenzione e il trattamento delle principali patologie croniche. Tutti gli interventi che mirano ad incoraggiare la partecipazione all’esercizio fisico regolare possono contribuire anche a ridurre le diseguaglianze di salute tra la popolazione».