Intervista a Marco Neri

«Non è facile condensare un percorso di trentasei anni in un’intervista, le interviste oggi poi sono un mezzo troppo inflazionato anche nel campo dell’arte, dove la critica autonoma, la lettura ispirata, sono sempre più rare»

Artista forlivese, classe 1968, oggi tra i pittori contemporanei più noti della sua generazione Marco Neri, che non ama farsi intervistare, esordisce così, ma poi si racconta e ci racconta della sua passione per la pittura, nata negli anni dell’Istituto d’Arte di Forlì e alimentata durante gli studi all’Accademia di Belle Arti di Bologna.

Docente di pittura al biennio specialistico dell’Accademia di Belle Arti di Lecce, personalità eclettica e brillante, lucidamente consapevole di sé, con quell’ironia che gli permette di non prendersi troppo sul serio, vanta una produzione artistica ricca e originale e un percorso nel campo dell’arte iniziato da giovanissimo, alla fine degli anni ’80, con lo studio del paesaggio. Nel tempo ha sviluppato un linguaggio artistico del tutto autonomo, dando voce a un vissuto che prende la forma di rappresentazioni artistiche inedite, eleganti e sofisticate, caratterizzate da geometrie pure, linee e cromatismi essenziali, armonie di toni neutri, anche se di fatto «l’energia e l’entusiasmo del dipingere si sono evoluti ma sono sempre quelli». La sua pittura si nutre di esperienza e passione quotidiana, il soggetto per lui è solo un pretesto.

In questa intervista Marco Neri ripercorre i tratti fondamentali del suo linguaggio artistico, le influenze, il rapporto tra la pittura e il mondo circostante e il ruolo del colore in rapporto a sperimentazione e ricerca. E ancora ci parla della pittura che trasforma il tempo in spazio per rappresentare ma anche per non dimenticare quel retaggio culturale tipicamente italiano che ci fa vedere paesaggi anche laddove non ce ne sono, della partecipazione alla Biennale di Szeemann, delle lezioni in Accademia in ottica di scambio generazionale.

Ci anticipa anche alcuni dei futuri appuntamenti: la prossima collettiva nel mese di giugno alla Pinacoteca Nazionale di Bologna e la sua personale in autunno a Brescia, dove sarà esposta una nuova serie di quadri realizzata nel periodo di raccoglimento obbligato del lockdown. Infine un consiglio per i giovani allievi: «Lavorare, lavorare e lavorare perché il lavoro è veramente l’unica cosa che conta in questo ambito e resistere, perché fare un quadro bellissimo non è difficile, il più è accorgersene».

 

La tua arte è stata definita pittura di perimetro perché procede per linee di contorno essenziali. Quali sono state le principali influenze sullo sviluppo del tuo linguaggio artistico? 

Effettivamente per me i limiti sono sempre stati molto interessanti, addirittura stimolanti, perché una volta inquadrati e capiti a fondo, tutte le possibilità che contengono diventano immediatamente percorribili. Quanto alle influenze principali, restringendo il perimetro al novecento italiano, quelli che considero i miei maestri provengono soprattutto dalla pittura. Ti faccio addirittura l’elenco: Mario Sironi, per il ritmo e la costruzione del quadro. De Chirico per lo spaesamento metafisico, a volte quasi cinematografico. Giorgio Morandi per il garbo, la composizione e l’intimo equilibrio. Osvaldo Licini per linea, libertà e respiro. Lucio Fontana per il superamento dell’illusione, con l’entrata fisica nelle profondità della forma-quadro. Virgilio Guidi per la fluidità, fino ad arrivare a Lo Savio, così minimo, estremo, e a Boetti per leggerezza e intelligenza. Infine direi Cucchi per segno e concezione dell’opera fuori da ogni logica precostituita. Poi molta, moltissima musica, ma restando in ambito visivo anche molto cinema, soprattutto agli inizi e in particolare di registi come Fellini, Bergman, Tarkovskij e Kurosawa. Un cinema con sfumature diverse ma sempre collegato o legato in qualche modo alla pittura. E volendo stringere ulteriormente il campo, penso a un’immagine su tutte, quella finale del Settimo sigillo: forse tutto il mio lavoro parte proprio da lì.

Marco Neri, Vele, 2012
acrilico su tela, cm 60 x 50
foto Michele Alberto Sereni

 Paesaggi urbani e ambientali, architetture, città, iconografie sono i protagonisti delle tue opere. Da quali fonti trai ispirazione? 

Agli inizi mi lasciavo guidare dall’istinto. Tutto nasceva dalla materia, dalle memorie che portava in superficie, da cui negli anni poi ha preso forma un intero immaginario, uno spazio aperto al suo interno, non deciso ma desiderato, trovato e generato dipingendo. Un ambiente con una sua densità fatta di modalità espressive e temperature psichiche, attraversabile con lo sguardo e che col tempo è passato da una connotazione quasi archetipale a una forma decisamente più strutturata, anche architettonica, forse per poter essere abitato più stabilmente. In questa sorta di mondo, ho poi iniziato a trasportarvi forme e osservazioni prese da ciò che mi si parava davanti anche nella quotidianità, tanto che oggi le modalità espressive che adotto lavorando possono apparire diversissime anche se non credo lo siano. 

Nelle tue opere il colore, nel senso di materia, ha un ruolo chiave e ha subito evoluzioni nel tempo. Quanto sono importanti ricerca e sperimentazione per un artista? 

Sono fondamentali. Il lavoro in fondo è tutto qui, ovvero nel come-fare-vedere. È il come infatti il vero soggetto, mentre il soggetto in realtà è fondamentalmente un pretesto, magari ideale, ricercato, necessario, ma niente di più. E in tutto questo le fasi di approfondimento, verifica, sperimentazione e sviluppo, sono decisive affinché si possa liberare lo sguardo, anche dello spettatore, e contemporaneamente reggerlo, sostenerlo.

Marco Neri, Casa bianca (torri gemelle), 2001
tempera su lino, cm 40 x 40
foto Michele Alberto Sereni

Nel 2001, su invito di Harald Szeemann, hai partecipato alla 49esima Edizione della Biennale di Venezia, intitolata Platea dell’Umanità con Quadro Mondiale: un’installazione di 192 tele dipinte rappresentanti altrettanti stati del mondo. A distanza di vent’anni come ricordi quest’esperienza?

La ricordo come un’esperienza enorme e indimenticabile. I dieci giorni dell’allestimento ai Giardini in particolare, sono stati probabilmente i più importanti per me dal punto di vista esperienziale e nel mio percorso hanno rappresentato sicuramente lo snodo principale. Le grandi manifestazioni generano molta pressione e sanno spingerti di fronte a soluzioni che non ti saresti neppure sognato, in condizioni e in situazioni che fanno crescere parecchio anche emotivamente. Tutto questo nel tempo amplifica le capacità espressive e poter fare un’esperienza del genere a tu per tu con Harald Szeemann mi ha lasciato moltissimo e cambiato decisamente la vita.

Marco Neri, Quadro Mondiale, 2000
tempere su lino, 192 elementi
cm 35 x 50 ciascuno
Platea dell’Umanità, 2001
a cura di Harald Szeemann 
La Biennale di Venezia – 49° Edizione 
Giardini di Castello, Venezia 
foto Elio Montanari

Retaggio italiano è il titolo di una tua opera ma anche un concetto attorno al quale ruota larga parte del tuo lavoro. Ci racconti di cosa si tratta?

Si tratta di un luogo comune abbastanza diffuso che tende a considerare il bagaglio storico e culturale di cui disponiamo, un freno alla capacità di innovare linguaggi e concezioni visive. Spesso infatti noi artisti italiani veniamo accusati di esserne vittime, sia all’estero che in Italia, ed effettivamente talvolta può accadere. Ma per quanto mi riguarda, mentre non posso negare la presenza di questo bagaglio dentro di me, non credo sia automatico sentirsene frenati, perché se in noi la sua importanza e la sua storia travalicano di gran lunga le nostre vite, il tutto a ben vedere può diventare una chance niente male.

Marco Neri, Retaggio italiano, 2014
tempera, acrilico e collage su tele, tavole e rete metallica assemblate
cm 110 x 217
foto Michele Alberto Sereni
Collezione privata, Milano

Minuti interminabili è la serie di dipinti che fissa nel tempo il terremoto che colpì l’Aquila nel 2009, le Marche e l’Abruzzo più diffusamente nel 2016 e 2017. Da più di un anno tutte le popolazioni del mondo stanno vivendo uno dei capitoli più drammatici della storia recente. Se dovessi darne una rappresentazione artistica che forma espressiva avrebbe? 

La pittura è tempo trasformato in spazio, da questa considerazione nacque quella serie. Ora stiamo attraversando una situazione senz’altro difficile ma molto diversa, anzi opposta. Alla vita e ai problemi che si sono imposti nell’ultimo anno non ho potuto ovviamente fare a meno di pensare e sono tutt’uno con la serie a cui sto lavorando. Ma preferisco non anticipare nulla.

 

L’ambito artistico è stato tra quelli più colpiti dalle misure per combattere la pandemia. Tante istituzioni museali hanno reagito reinventandosi e proponendo esperienze virtuali. Cosa ne pensi di questa modalità di fruizione dell’arte?

Non mi convince, non mi pare funzioni. La percezione in certe modalità viene falsata, filtrata e anestetizzata, perdendo moltissimo del suo senso, se non tutto. Urge tornare a contatto con opere e mostre, perché non è possibile percepire quasi nulla di un lavoro inedito guardandolo a monitor.

Marco Neri, Visto d’ingresso, 2010
tempera, acrilico e collage su 9 carte, cm 100 x 70 ciascuna
dimensioni totali cm 300 x 210 
foto Michele Alberto Sereni

Nel tuo campo sono essenziali le contaminazioni e le condivisioni artistiche e culturali. Come è stato possibile ovviare a questi aspetti in un anno in cui le relazioni e gli spostamenti sono stati così penalizzati?

In realtà gli scambi a distanza non sono mancati. Per cercare di mantenerli vivi sono stati condivisi e portati avanti parecchi progetti collettivi ma in sostanza sono stati soprattutto un modo per ammazzare il tempo. Credo comunque si sia lavorato tutti molto in studio e sono convinto che presto ne vedremo delle belle.

 

Dal 2001 alla tua attività artistica si è affiancata quella accademica. Quanto è importante per un artista la componente didattico formativa? 

È senz’altro importante, certo molto dipende dalla passione che si mette nel proprio lavoro e dalla passione di chi ti sta di fronte. Poi le lezioni, così come gli esami, non finiscono mai. Credo che l’incontro e lo scambio tra generazioni sia bello, oltre che sano. Altrimenti non lo farei, perché richiede impegno, tempo e davvero tante energie. 

Puoi darci qualche anticipazione su opere e progetti espositivi a cui stai lavorando?

Al momento sto sviluppando una nuova serie di quadri, e non solo, che presenterò a Brescia in autunno. A breve invece inaugurerà una mostra alla Pinacoteca Nazionale di Bologna che sarà un po’ una festa a suo modo, perché riunirà un gruppo ristretto di artisti, anche amici, nati negli anni ’60 e usciti più di trent’anni fa dall’Accademia di Bologna.

 

Che suggerimento puoi dare ai giovani che vogliono intraprendere una carriera nel campo dell’arte?

Lavorare, lavorare e lavorare perché il lavoro è veramente l’unica cosa che conta in questo ambito e resistere, perché fare un quadro bellissimo non è difficile, il più è accorgersene.

Marco Neri, Mirabilandia, 2003
tempera su lino, cm 160 x 200
foto Michele Alberto Sereni

Foto copertina: Marco Neri, Bandiere rosse, 2012 collages in 12 elementi  cm 21 x 29,7 ciascuno dimensioni totali cm 107 x 180 cm foto Michele Alberto Sereni – Collezione privata, Milano

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