Intervista al prof. Marco Roccetti sul futuro di Bologna tra realtà virtuale e Metaverso

di Valerio Castrignano.

«Stiamo sopravalutando l’impatto che avrà la realtà virtuale, che sta assumendo proporzioni mitologiche nelle nostre valutazioni». Queste le parole del professor Marco Roccetti, professore ordinario del Dipartimento di Informatica all’Alma Mater. Il docente conosce molto bene lo sviluppo tecnologico di questo settore e non ha dubbi  e, nell’intervista che ci ha concesso, ritiene che siano eccessive le preoccupazioni sorte intorno alla realtà virtuale. 

Da quando Mark Zuckeberg, l’inventore di Facebook, ha annunciato la nascita del Metaverso, nel mondo della tecnologia non si è parlato di altro. Ma di cosa si tratta?

«Il Metaverso è un termine usato per la prima volta in un romanzo di fantascienza cyberpunk che io da giovane ho amato molto, essendo appassionato di questi temi: Snow Crash di Neal Town Stephenson, correva l’anno 1992. Si trattava di una realtà virtuale bella, in cui la gente poteva distrarsi rispetto ad una società stressante e distopica».

Qual è il progetto di Zuckeberg?

«Vorrebbe superare la spersonalizzazione dei social network, basati solo sulla scrittura di messaggi. Un tipo di comunicazione che ha reso tutti più aggressivi e ha incentivato comportamenti tossici o socialmente inaccettabili. La novità è creare uno spazio digitale in cui si abita con un corpo. Questo secondo la sua idea porterà gli utenti a essere più attenti e a non assumere comportamenti riprovevoli. Non so se sarà così e se effettivamente questa cosa è realizzabile in così breve tempo. Potrebbe essere in parte una trovata pubblicitaria».

Lei ritiene che le preoccupazioni che sono sorte sulla nascita di una realtà virtuale siano irrazionali…

«Sì. La realtà virtuale avrà un’applicazione principalmente settoriale per molto tempo. Per vederla affermarsi in modo generalizzato dovremo aspettare molto. Dieci anni, forse quindici. Ed è assolutamente prematuro preoccuparci per qualcosa che ci cambierà la vita tra così tanto tempo. Ci sono cose che stanno avvenendo oggi molto più pericolose e che tra dieci anni potranno aver avuto effetti gravissimi sulla nostra salute. Penso alla nostra interazione distruttiva con l’ambiente e gli animali da allevamento».

Eppure tutti ritengono che l’impatto della realtà virtuale avrà conseguenze importantissime sulla nostra vita e società…

«Noi tendiamo sempre a fare previsioni sul futuro che non vengono affatto confermate. Ingigantiamo delle cose e ci sfugge ciò che davvero di importante sta accadendo. Nel 1969 siamo sbarcati sulla Luna e per decenni abbiamo fantasticato su un futuro fatto di viaggi spaziali, ma in realtà se ne sono visti pochi e la corsa allo spazio ha prodotto principalmente conseguenze in campo militare piuttosto che civile. Nello stesso 1969 veniva inviato il primo messaggio internet e nessuno neanche il giornale dell’università in cui accadde scrisse nulla al riguardo. Eppure quell’evento ha cambiato il mondo». 

Perché ritiene che la realtà virtuale non avrà conseguenze generalizzate nell’immediato?

«La realtà virtuale prevede la totale immersione in uno spazio diverso da quello reale. Oggi abbiamo solo il caschetto per poter raggiungere questo scopo. E ha ancora vari problemi tecnici. Produce un senso di disorientamento, può far perdere l’equilibrio e far cadere chi lo usa. L’altra possibilità è data dagli occhialetti che però non ci consentono l’immersione totale, sono più utili per altre applicazioni più leggere, come la realtà aumentata».

Qual è la differenza tra realtà tra realtà aumentata e virtuale?

«Nel primo caso non c’è l’immersione, piuttosto si interagisce con un’ambiente in cui ci sono anche elementi virtuali. Per esempio quando in un museo utilizziamo il QR code per ottenere più informazioni su un’opera d’arte. Abbiamo già la tecnologia che ci consentirà presto di visualizzare queste informazioni anche attraverso speciali occhialetti»

Non sarà troppo invasiva?

«Non credo, anzi, immaginiamo di essere lavoratori nel settore della logistica. È più invasivo e scomodo dover usare un foglietto con scritti degli ordini o avere degli occhialetti che ti permettono con delle indicazioni di orientarti?»

Dunque nel futuro immediato vedremo usare più forme ibride, come la realtà aumentata, mentre per la realtà virtuale dovremo aspettare…

«In realtà anche la realtà virtuale c’è già, solo in alcuni settori però. Come in quello dei videogiochi dove funziona benissimo ed è già molto diffusa. Oppure in ambito medico per distrarre e portare in mondi immaginari i bambini affetti da gravi malattie. Ha però tutti i difetti di cui parlavamo»

Come si sta cercando di risolvere queste problematiche?

«Si sta cercando di rendere la realtà virtuale diegetica, cioè la narrazione che si sviluppa al suo interno coerente con l’attività che si svolge con il proprio corpo. Se non c’è questa coerenza, la mente umana se ne distanzia. Per i giochi per esempio la presenza di pannelli dove scorrono i punteggi viene considerata disorientante, perché innaturale. Allora si stanno sostituendo questi pannelli con qualcosa di più naturale, di più famigliare. Un orologio da polso dove vengono riportati i punteggi per esempio…»

A Bologna ci sono ricerche interessanti in questo campo?

«C’è un progetto interessante su cui lavora il professor Gustavo Marfia nel settore della moda. L’uso della realtà virtuale può aiutarci a visualizzare e simulare un oggetto reale e il suo funzionamento. Ci sono anche progetti in campo dentistico, che aiutano a visualizzare cosa accade ai denti se faccio un determinato intervento».

Ci saranno senz’altro applicazioni anche economiche e per le aziende interessanti…

«Sì, potremo far vedere e comunicare la forma e le caratteristiche di un prototipo, di un prodotto anche a distanza. Utilissimo per esempio in caso di un periodo di lockdown o di impossibilità nel compiere spostamenti. In questo caso però più che di fronte ad un’applicazione della realtà immersiva, mi sembra che siamo nel campo ancora una volta della realtà aumentata».

Oltre agli occhiali e al caschetto esistono altri strumenti in studio per l’uso di queste nuove realtà?

«Io ho in mente una tecnica antichissima di fotografia che ancora ci sembra avveniristica. L’ologramma. Ho visto una sua applicazione quando ero alla Università della California di Los Angeles in un concerto di Snoop Dogg, quando è comparso sul palco il rapper Tupac Amaru Shakur. Era morto, eppure sembrava davvero essersi materializzato lì davanti ai nostri occhi».

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