La Romagna: dalle origini del sentimento identitario alle più recenti progettualità comuni
di Francesca Montuschi
Una koinè romagnola, affiancata dal sostegno di un forte movimento cooperativo delle istituzioni, che possano muoversi per progettualità comuni foriere di sviluppi territoriali e di crescita sociale.
“La Romagna è certamente un caso singolare. In 38 anni ho fatto ricerche anche in Piemonte, Veneto e Lombardia. L’attaccamento identitario esiste, ma è come sbriciolato. In Romagna l’indice di significatività che abbiamo riscontrato è dell’80%, altrove scende anche al 40%. In Emilia, per dire, il dato è alto ma decisamente inferiore. La Romagna esiste perché esiste il sentimento dell’essere romagnoli, sviluppatosi poi nell’economia e nella società attraverso l’associazionismo e la cooperazione: è la forza della Romagna. Qui è molto semplice creare gruppi di lavoro, mentre in Veneto è difficile, l’abbiamo visto in alcuni progetti universitari”.
Il sentimento di identità è stato oggetto di studio da parte del professore Marcello Novaga, già docente di Psicologia negli Atenei di Milano e di Padova, che ha destinato la sua ricerca ai confini della terra di Romagna. Potremmo quindi asserire che la Romagna è uno stato permanente dell’anima di noi Romagnoli, vivo, vivace, vero.
Paiono esserci veri e propri modelli matematici e statistici, strumenti e tecniche idonei per capire e misurare il sentimento dell’identità, che potremmo definire come la “consapevolezza della propria esistenza nel tempo”. Dai risultati del gruppo di ricerca del professore Novaga questo sentimento risulta particolarmente forte nelle comunità collinari e rivierasche della Romagna. A Bertinoro (nella provincia di Forlì-Cesena), in particolare, sono state fatte decine di ricerche che raccontano di un territorio assai poco allineato ai dettami della globalizzazione. E si è scoperto che la cosa è estendibile all’intera Romagna.
Ma quali sono le origini della identità storica romagnola? Il tema della definizione della Romagna, in termini strettamente territoriali, si pone solo con l’avvento dello Stato Pontificio, quando un potere esterno, quello di Roma, sente il bisogno di costruire unità amministrative facilmente controllabili. Così nasce la legazione di Romagna, con capoluogo Ravenna e formata dalle attuali provincie di Forlì-Cesena e Rimini, fino a comprendere il territorio imolese (cit. Roberto Balzani, professore di Storia dell’Università di Bologna).
Chi erano al tempo i romagnoli? Chi sentiva di esserlo. L’essere romagnoli era una espressione in particolar modo sociale e non ancora una elaborazione culturale. Non a caso uno dei contributi più rilevanti, nel primo Ottocento, alla definizione di un patrimonio “regionale” è giunto da Michele Placucci che in “Usi e pregiudizi dei contadini della Romagna” racconta cosa le popolazioni citate avessero in comune. Non l’idea astratta di un confine. Ma la familiarità di un universo di simboli e di valori che rassicuravano, che inorgoglivano, che interpretavano: in definitiva il senso del “NOI”.
La svolta culturale si consuma nel momento in cui la pratica sociale diviene memoria culturale, nel momento cioè in cui, mediante l’elaborazione scritta, le pratiche vengono calate in uno spazio fisico.
La memoria culturale nasce involontariamente come supporto conoscitivo ad un potere forte, quello francese. E resta, così tramandano gli scritti, come risorsa latente a disposizione di intellettuali locali e attori di decisioni che si susseguirono nel corso del tempo.
La Romagna del nostro immaginario contemporaneo ha un’origine relativamente recente nel Risorgimento. Pascoli, Carducci, Oriani, De Amicis si incaricarono poi di fissare i caratteri della sua identità, creando una galleria di luoghi simbolici: l’Arco di Augusto a Rimini, la tomba di Dante a Ravenna, il monumento di Baracca a Lugo, la Biblioteca Malatestiana a Cesena (cit R. Balzani).
La Romagna ha oggi l’occasione di passare da “isola del sentimento” a nuova “circoscrizione” per progettualità comuni.
In altre parole, proprio perché isola di sentimento, la Romagna costituisce un paesaggio culturale che attende solo di essere valorizzato: non solo in quanto deposito di simboli e di patrimonio (lo è già), ma in quanto sorgente di idee per attività che dal quadrante presente che guarda al passato possano transitare verso quello del presente che guarda al futuro. Le potenzialità e le risorse ci sono tutte.
Lo scenario è affascinante: dare al regionalismo culturale un luogo con cui misurare le proprie capacità di incidere, di crescere, valorizzando proprio quella natura insita nella terra sanguigna e verace di Romagna: il pragmatismo e la creatività. E lo stare assieme.
Una koinè romagnola, affiancata dal sostegno di un forte movimento cooperativo delle istituzioni, che possano muoversi per progettualità comuni foriere di sviluppi territoriali e di crescita sociale.
Ne è un esempio immediato la attivazione in Romagna a partire da questo anno accademico di due corsi di laurea in Medicina (a Forlì e a Ravenna). L’insediamento accademico in Romagna dell’Alma Mater di Bologna – ha esordito il Magnifico Rettore Francesco Ubertini – compie 31 anni e “abbiamo pensato di completare il disegno” andando a colmare un vuoto, l’ambito della salute, con un progetto che “avrà lo stesso impatto” della creazione dei Campus romagnoli. Di certo, sottolinea, “non vogliamo fare una replica di cosa c’è a Bologna. Nei prossimi anni la Romagna sarà un grande laboratorio a cielo aperto sulla salute che coinvolgerà le discipline mediche ma anche altre aree del sapere”. Dunque “più che un Policlinico della Romagna, la prima Azienda territoriale universitaria“, all’insegna di “un’integrazione vera, profonda”.

“L’arrivo in Romagna – sono le parole del professore Marco Domenicali, primario all’Ospedale di Ravenna di Medicina interna e docente di diversi moduli d’insegnamento nel Corso di studio della città ravennate – è una sfida davvero interessante. Per come è organizzata la struttura sanitaria romagnola, qui è possibile avere un approccio diverso rispetto alla sede bolognese. Ovverosia si possono sviluppare progettualità che possono coinvolgere maggiormente il territorio, valorizzando una cultura sanitaria maggiormente orientata al dialogo con gli attori socio-economici locali. E’ un grande vantaggio in questo senso. L’organizzazione sanitaria si articola su più provincie, che si suddividono tra loro risorse e competenze complementari, e questo agevola certamente una maggior facilità di integrazione e di cooperazione. È una potenzialità da sfruttare affinché l’approdo di Medicina in Romagna sia il volano anche per innestare e instillare progettualità trasversali in chiave innovativa”.
Al recente forum “Fattore R” sull’economia della Romagna, organizzato da Confindustria Romagna, è arrivata una ulteriore suggestione nella stessa direzione, questa volta da parte del professore Roberto Balzani: “… Lo stesso fattore R nasce da questo motivo, quello di riuscire a costruire un luogo, non decisionale, ma di riflessione sui temi strategici della agenda romagnola, che a livello terzo, senza implicazioni decisionali, possa fungere da supplemento di indagine, di verifica, sulla realizzabilità dei progetti, dei programmi, in maniera tale da favorire i processi decisionali e la crescita comune”.
