L’alimentazione tra passato e presente Herbert List e Henk Wildschut a Foto/Industria 2021

La V Biennale di Foto/Industria, promossa dalla Fondazione MAST, è dedicata al tema Food. Si tratta di un tema che gode – a buon diritto – di una particolare centralità nel dibattito pubblico, perché si trova al crocevia di molteplici dimensioni (l’ecologia, la salute, il benessere, il lavoro, il turismo, ecc.). L’alimentazione umana è un fatto eminentemente culturale, le cui pratiche ci consentono di studiare morfologicamente il configurarsi della nostra esperienza e di riconoscere alcuni tratti fondamentali di quello che, di volta in volta, si dispiega come il nostro mondo. Da questo punto di vista ho trovato particolarmente esemplificative e illuminanti due mostre: Favignana di Herbert List e Food di Henk Wildschut; esemplificative e illuminanti non tanto in sé quanto proprio nella loro giustapposizione. È la frizione qui a generare scintille. 

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Innamorato del Sud (in particolare dell’Italia meridionale e della Grecia), in cui trova la principale fonte d’ispirazione per la sua “fotografia metafisica”, List nel 1951 assiste alla pesca del tonno a Favignana e, come altri artisti del Novecento, tra cui Ernst Jünger (si legga il testo San Pietro [1957] raccolto in Autunno in Sardegna, a cura di M. Bosincu, Le Lettere, Firenze 2020) e Vittorio De Seta (si veda il cortometraggio Contadini del mare, 1955), ne rimane sedotto. La fascinazione che List avverte lo spinge a mettersi al servizio della potenza di quella pratica arcaica: egli rinuncia in parte alla sospensione visionaria e alla composizione classica così tipiche del suo stile, e si impegna, alla stregua di un etnologo, a documentare minuziosamente la pesca del tonno in ogni sua fase, corredando le sue foto con didascalie esplicative. Ne risulta una coinvolgente serie di 41 scatti, che registra non soltanto la cattura vera e propria del pesce, ma anche la lavorazione delle sue carni nello stabilimento Florio e infine la celebrazione collettiva che coinvolge l’intera popolazione dell’isola. La pesca del tonno costituisce un vero e proprio rito, caratterizzato da una precisa scansione dei gesti, dilatati dal silenzio e ritmati dal canto. Come ha di recente scritto Byung-Chul Han (La scomparsa dei riti. Una topologia del presente, Nottetempo, Milano 2021), il simbolismo del rituale, nel suo profondo rapporto con il sacro e con il gioco, ci consente di riconoscere, nell’esperienza del darsi della forma (o anche: nell’incontro con le cose reso possibile dal sorgere della forma), un mondo permanente, un mondo che è possibile abitare (in cui è possibile l’accasamento). Il rito è una dimensione di risonanza che colloca il soggetto nell’orizzonte più vasto della natura e della storia. Le foto di List costituiscono una singolare conferma di tutto ciò: nella codificazione rituale della pesca i tonnaroti dispiegano una cornice di senso all’interno della quale si collocano il tempo del lavoro e il tempo della festa, il rapporto con il mare, il rapporto con i compagni di fatica e il rapporto con la comunità tutta. 

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Commissionato dal Rijksmuseum di Amsterdam, Food di Wildshut è un’ampia ricerca sul tema della nuova industria del cibo. Le 33 foto esposte, dedicate a importanti realtà industriali e produttive olandesi, presentano uno sguardo curioso e perspicace, ma impassibile: in grado di individuare con sicurezza e di isolare gli elementi significativi dei soggetti trattati, Wildshut non giudica mai. Scelta feconda, visto che sovente il giudizio immediato e frettoloso è il peggior nemico della comprensione, ed eventualmente anche della critica. Gli scatti di Wildshut restituiscono l’avanguardia dell’industria alimentare contemporanea, e ci dicono molto della società di cui questa industria è espressione. Le immagini restituiscono ambienti asettici, altamente controllati, in cui hanno luogo procedure automatizzate miranti alla massimizzazione della resa. È una realtà tutta incentrata sulla produzione, sui suoi schemi ripetitivi, sulla sua logica dell’accumulo quantitativo. La produzione, scrive Byung-Chul Han nel testo citato, è il regno dell’uguale, ed in quanto tale è la negazione del simbolismo rituale. Essa uniforma tutto: promuove solo la fuga in avanti della crescita indeterminata – una coazione in cui il tempo non ha più alcuna consistenza (viene ridotto a una mera successione di istanti) e la festa è esclusa per principio. L’industria alimentare contemporanea potrebbe nascondere la cifra segreta del nostro mondo totalmente organizzato, del nostro sfruttamento e consumo (per quanto efficiente e sostenibile) di risorse: la cifra segreta del nostro rapporto con la natura nel suo complesso, del nostro rapporto con il lavoro, del nostro rapporto con i nostri simili, del nostro rapporto con lo spazio e con il tempo. 

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Il contrasto tra l’industria alimentare olandese e il mondo ritualizzato di Favignana non potrebbe essere più drammatico. Ma non si tratta di prospettare un ritorno all’indietro, in nome di una nostalgia tanto idealizzante quanto velleitaria e ineffettuale. È solo resistendo al canto delle sirene della nostalgia che si può fare del contrasto un’occasione di riflessione (di apertura di uno spazio di riflessione), un’occasione per delineare, secondo le parole di Byung-Chul Han una topologia del presente – un’occasione, in altri termini, per divenire più consapevoli della località del presente. «I riti e le cerimonie – scrive Byung-Chul Han – sono azioni umane genuine capaci di far apparire la vita in chiave festosa e magica, mentre le loro scomparsa la dissacra e la profana, rendendola mera sopravvivenza» (p. 39). In questo percorso di presa di coscienza il mondo ritualizzato è una risorsa, una sorta di liquido di contrasto che suggerisce l’opportunità di un reincantamento del mondo (la meraviglia per ciò che è) quale via maestra per rimettere in discussione l’orizzonte del necessario a favore dell’orizzonte del possibile.

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