L’arte che trasforma e cura

Mili Romano è artista e curatrice. Dopo essersi formata all’università ha collaborato con Gianni Celati al suo corso di letteratura inglese al Dams dell’Università di Bologna. In seguito è diventata docente di antropologia culturale all’Accademia di Belle Arti di Bologna. I suoi interventi, attenti al tema della città in rapporto ai processi di memoria, recupero e conservazione, si contraddistinguono per una dimensione partecipativa e relazionale. Ogni segno, piccolo o grande, effimero o permanente, ambisce a trasformarsi in un racconto che lasci una traccia attraverso forme artistiche che mantengano viva l’attenzione e curino.

Mili Romano, Passaggio di luce, collaborazione tecnica Studio Ciorra, Pianoro, Cuore di pietra, 2010

Mili, lei è artista e curatrice, ma non ha una formazione tradizionale in accademia…

«Ho una formazione letteraria. Ho studiato lingue e letterature straniere e, a partire da una tesi sulla Pietroburgo di Dostoevskij, mi sono focalizzata sullo studio delle città della letteratura e dell’arte. L’antropologia culturale che ho insegnato per anni all’Accademia di Belle Arti di Bologna è stata più antropologia urbana. Il mio lavoro indaga la memoria dei luoghi e i processi di trasformazione del paesaggio urbano, naturale e umano».

Dal 1997 al 2005 è stata curatrice di uno dei primi progetti di arte pubblica site specific in una stazione ferroviaria in Italia, Accademia in stazione, insieme a Roberto Daolio, noto critico d’arte e docente dell’Accademia di Belle Arti sempre a Bologna. Perché questo progetto è stato innovativo?

«L’Associazione dei familiari delle vittime della strage del 2 agosto 1980 ci invitò a partecipare alla manifestazione annuale “Per non dimenticare” con quella che si aspettava sarebbe stata una mostra tradizionale: quadri e sculture da esporre in una qualche sala ad hoc della stazione di Bologna. Con Roberto Daolio proponemmo invece di ribaltare completamente la prospettiva partendo da un’idea/azione che trattasse la memoria del nonluogo stazione in maniera non retorica, non enfatica. Abbiamo trasformato il progetto in un vero e proprio laboratorio per gli studenti e in un momento di apprendimento di nuovi metodi di progettazione dell’arte pubblica. Ed è stata una palestra per nuovi talenti. Non più portar fuori dai laboratori dell’accademia un’opera ispirata alla strage, ma lavorare nello spazio, sulla sua valenza antropologica, interagendo con chi lo attraversa. Con una molteplicità di linguaggi l’arte agisce suscitando piccoli sgambetti, momenti di sbandamento, di straniamento, ed è un invito a deviare dai percorsi normali per vincere indifferenza e cecità, malattie generalizzate dei nostri giorni». 

Mili Romano, Torna indietro!, progetto per Piazza Maggiore, 2004s

Ha lavorato molto sugli interventi di accompagnamento ai progetti di riqualificazione cittadina. Tra i più rilevanti sicuramente Cuore di Pietra che ha interessato il centro abitato di Pianoro alle porte di Bologna. Si è parlato di traumatica demolizione di edifici urbani. Che ruolo ha avuto l’arte in questo processo di cambiamento?

«Cuore di pietra ha interagito in modo continuativo, profondo, ma leggero con gli abitanti del paese e con i disagi che stavano vivendo: abbandono delle vecchie abitazioni in cui risiedevano dal dopoguerra, cambiamento delle abitudini e stili di vita, a seguito di un piano di riqualificazione urbana. Ha coinvolto la comunità in un percorso di superamento delle paure e di attivazione di una memoria non nostalgica. Tutto questo creando una rete di relazioni fra me e gli altri artisti invitati a intervenire e gli abitanti, tra generazioni diverse, storie e luoghi. I primi anni erano interventi lievi ed effimeri, come il manifesto esposto alle finestre da chi abitava ancora le vecchie case destinate all’abbattimento come segno di resistenza e che ha dato inizio al tutto. Un mio gesto artistico di dissenso, certo, ma poetico-politico. Col tempo i segni sono diventati sempre più permanenti, ognuno rinsaldando quel filo narrativo che, tramandato di bocca in bocca e nel tempo lungo, sollecitasse anche l’assunzione di una responsabilità nella cura del territorio». 

Cuore di pietra è nato da un’emergenza urbanistica legata alla trasformazione dei centri abitati, agli abbattimenti e alle ricostruzioni, ma ha poi affrontato altre sfide… 

«Il progetto si è esteso in uno spazio-tempo dilatato. Dal 2005 è proseguito fronteggiando momenti imprevisti di emergenze, come la crisi economica che ci ha spinti a entrare nelle fabbriche e a concentrarci, fra il 2011 e il 2015, sul tema del lavoro e sulla memoria del territorio produttivo. Un altro momento di emergenza è stato, fra il 2016 e il 2019, quello dell’accoglienza dei migranti e dell’integrazione.  Onde dorate/Golden waves è stato un’ulteriore evoluzione di Cuore di pietra che ha coinvolto famiglie di migranti e giovani delle due case di accoglienza di Pianoro e Rastignano. Come segno della solidarietà, cittadini e istituzioni sono stati invitati, alla fine di tante attività, a esporre alle finestre una coperta isotermica, una di quelle che avvolgono i migranti quando finalmente raggiungono terra. Cuore di pietra ha lasciato in tutta Pianoro, dal centro alle aree verdi, alle aree industriali, un percorso di arte partecipativa cui negli anni hanno contribuito moltissimi artisti con i linguaggi più diversi e molti giovani artisti dell’Accademia qui si sono formati. E’ un’opera corale, sempre aperta alle incursioni, agli scambi, alle collaborazioni».

Mili Romano, Onde Dorate / Golden Waves, installazione e continuata per i mesi successivi, Comune di Pianoro, 2019

Nei progetti sopra menzionati e in molti altri ricorre l’elemento della passeggiata. Che legame ha questa pratica con i suoi interventi artistici? 

«E’ un elemento costante per la progettazione e per esperire le opere. La camminata è per me una pratica meditativa e di riflessione, è intima e legata a un esercizio spirituale individuale, ma è anche un invito alla condivisione e un esercizio collettivo. L’esercizio della flânerie era per gli scrittori dalla fine del Settecento in poi un esercizio di educazione dello sguardo, scrivevano i loro romanzi a forza di gambe. Ciò che se ne ricava è la consapevolezza che quella passeggiata e quell’osservazione sono infiniti perché gli spazi attorno a noi cambiano continuamente. Georges Perec in Tentativo di esaurimento di un luogo parigino, osserva sempre lo stesso luogo in differenti momenti della giornata prendendo accuratamente nota di tutto quello che vede -persone, macchine, autobus, animali, nuvole – cose all’apparenza insignificanti, ma da cui incessantemente prende forma la vita di una città. E ogni tentativo di catalogazione risulta inesauribile».

Un altro tema a lei caro è quello della memoria. Tra i suoi lavori legati a questo concetto anche Italia realizzato per il Museo di Arte Moderna di Bologna in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia...

«Fra il novembre del 2011 e gennaio 2012 ho realizzato un video e un’azione. Il video ogni due settimane si spostava nelle varie sale in dialogo con le opere della collezione permanente. Io invece ogni pomeriggio stavo seduta su una sedia appartenuta a mia nonna, nella manica lunga, e leggevo ad alta voce brani da alcuni libri scelti per l’occasione. I libri accumulati in pile costruivano un’installazione. Anche il pubblico era invitato a fare lo stesso portando un libro e lasciandolo ad accrescere l’installazione. Un particolare timbro apposto sul libro portato da casa permetteva di entrare gratuitamente alle collezioni. L’intento era anche creare una pausa al normale attraversamento e una dimensione quotidiana, affettiva e intima nello spazio museale».

Mili Romano, 150 anni dell’Unità d’Italia, azione, Mambo – Museo d’arte moderna di Bologna, novembre 2011 gennaio 2012

I suoi progetti artistici si caratterizzano per un approccio di natura relazionale. Che rapporto ha con l’altro?

«Gli altri sono fondamentali nel mio lavoro, siano essi le persone che entrano nei miei progetti artistici, siano essi artisti con cui collaboro. Come artista cerco di essere un recettore attivo ed elastico di ciò che l’altro mi dà». 

Qual è la sua concezione di arte?

«Ho lavorato molto sull’idea di un’arte che in qualche modo sollecitasse ed ingenerasse trasformazione. Negli anni ottanta facevo sculture e disegni e il cambiamento riguardava solo la mia interiorità in un processo di meditazione. Riflettevo sullo spazio-tempo e realizzavo sculture che cercavano di uscire dalla bidimensionalità e spingevano verso l’esterno, erano materia in movimento. Quando ho iniziato a occuparmi più da vicino delle trasformazioni urbane, l’arte per me non è più stata rappresentativa di un tema o di una condizione particolare, ma è diventata un fare, una pratica di azione in tempi lunghi e spesso in progress. E’ stata una sfida continua, bella e leggera, poetica e politica di resistenza, laddove l’estetica e l’etica hanno cercato di congiungersi per lavorare insieme a un rovesciamento di prospettiva». 

Può dirci tre aggettivi per descrivere i suoi progetti artistici?

«Aperti, lievi e perseveranti. E soprattutto, dovrebbero acquisire senso. I miei lavori vorrebbero divenire nel tempo attraverso nuovi sguardi e racconti».

Siti di approfondimento
Cuore di Pietra – http://www.cuoredipietra.it/progetto.it-IT.html
Accademia in stazione – https://accademiainstazione.blogspot.com/

Mili Romano, Italia, azione, proiezione del video nella sala della Body art, Mambo – Museo d’arte moderna di Bologna
Mili Romano, Manifesto, 5 marzo 2005, foto Alessandra Andrini
Mili Romano, Ciò che resta, esercizio di cancellazione n°1.j, Stampa fotografica digitale, 2016
Mili Romano, Mappa mobile della cancellazione, della serie Mappe mobili, 2004

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