Laurea in psicologia diventa abilitante
La laurea in psicologia diventa abilitante:«È una rivoluzione importante – ha dichiarato al CUBo la prof.ssa Elvira Cicognani, direttrice del Dipartimento di Psicologia UniBo – sinora il tirocinio degli psicologi avveniva dopo la conclusione della laurea magistrale. Gli studenti, già laureati, si organizzavano in autonomia per cercare una opportunità di tirocinio professionalizzante».
La riforma, inserita nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), segna un cambiamento copernicano nell’accesso ad alcune professioni. Nel dettaglio, con la legge 163 dell’8 novembre 2021, che entrerà in vigore a partire dall’Anno Accademico 2023-2024, viene definito che per le lauree magistrali a ciclo unico, ovvero Odontoiatria, Farmacia, Medicina Veterinaria e Psicologia, l’esame di laurea sarà coincidente con l’abilitazione di Stato. Questo consentirà ai laureati di esercitare la professione immediatamente, senza l’onere di svolgere un tirocinio post lauream.
L’obiettivo finale di tutto l’impianto legislativo è favorire immediatamente l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, riducendo, di conseguenza, il noto vulnus di utilizzare laureati in tirocinio abilitante post lauream a costo zero, di cui alcune realtà hanno ampiamente approfittato in questi anni.
Una novità che non si applicherà a tutte le lauree. Non viene cancellato, almeno per il momento, l’esame di Stato per avvocati, commercialisti, architetti, giornalisti, chimici, ingegneri, notai e medici.
Con la prof.ssa Elvira Cicognani, direttrice del Dipartimento di Psicologia “Renzo Canestrari” dell’Università di Bologna, abbiamo provato a tratteggiare i possibili vantaggi, i rischi, e ad analizzare gli impatti organizzativi di una riforma che implica, inevitabilmente, il coinvolgimento di tutte le componenti della filiera formativa (Università, ordini e mondo delle professioni).

Per diventare psicologi, dagli attuali 6 anni e mezzo, si passerà, quindi, a 5 anni, con una componente professionalizzante molto più breve, inserita ora nel percorso universitario.
«Non ci sarà più il tirocinio annuale post-lauream di 1000 ore, visto che a partire dall’a.a 2023-2024 verrà assorbito e anticipato nelle lauree magistrali (per 20 crediti formativi) e triennali (10 crediti), per un totale complessivo di 30 Crediti, pari a 750 ore. Non ci sarà più l’esame di Stato, sarà sostituito dalla Ppv (Prova pratico valutativa): una prova orale unica, che si focalizzerà solo sul tirocinio svolto e su temi di legislazione e deontologia professionale. Dopo aver superato la Ppv, si potrà discutere la tesi di laurea e si sarà “abilitati” all’esercizio della professione».
Intuisco che uno dei pericoli insiti nella riforma, che ha in sé degli aspetti di opportunità notevoli, sia quello di avere degli psicologi più formati, ovvero quelli della vecchia riforma, accanto ad altri che rischiano di essere potenzialmente meno formati proprio dal punto di vista applicativo. Si riduce, infatti, la parte pratica, e cambiano anche le tempistiche di svolgimento del tirocinio, in momenti in cui gli studenti potrebbero non essere propriamente pronti nel poter assimilare quello che sarà il futuro mestiere. Allora come superare questi rischi?
«La sfida sarà di mantenere un livello elevato di qualità nonostante l’abbassamento della durata del tirocinio. È necessario costruire esperienze formative in stretta collaborazione con le sedi di tirocinio, dove operano gli psicologi, adottando modalità di dialogo e di confronto costanti per concordare assieme i contenuti dei progetti di tirocinio, collegandoli strettamente ai contenuti formativi che vengono erogati in aula, sia a livello teorico, sia a livello metodologico. Occorre creare un processo di costruzione collegiale della formazione dei futuri psicologi e monitorare costantemente l’andamento».
In sostanza, cambia il profilo che la filiera universitaria ha la responsabilità diretta di costruire. Da un lato c’è l’università, dall’altro lato ci sono l’ordine degli psicologi e le strutture con le quali l’Università si dovrà convenzionare. Tutto questo comporterà necessariamente una riorganizzazione interna e anche l’individuazione di unità di personale probabilmente dedicate solamente a curare questi aspetti?
«Una funzione di coordinamento sarà necessaria, anche in termini di unità di personale. I docenti stessi, per poter svolgere il ruolo di tutor di tirocinio, e supervisionare le attività dei tirocinanti, dovranno possedere determinati requisiti, previsti ora per legge, come ad esempio essere iscritti all’albo degli psicologi. È un elemento che pone alcune difficoltà, dal momento che molti professori non sono iscritti all’albo, se non esercitano la professione. Attualmente, in Ateneo sono una trentina i docenti che hanno i requisiti, e che possono svolgere il ruolo di supervisione del tirocinio, attività che viene riconosciuta nell’ambito del carico didattico primario. A livello di tavolo nazionale, stiamo chiedendo una deroga, per consentire ai professori di essere tutor, anche se non iscritti all’albo».
Consultando i dati di Almalaurea, scopriamo che ben 4 laureati su 5 in psicologia, a 5 anni dalla laurea, hanno un’occupazione, ma molti non esercitano la professione di psicologo. Questa riforma naturalmente non risolve il problema, ma semplifica la parte di formazione riducendola di fatto di un anno. Viene data la possibilità ai laureati di uscire prima, e quindi di specializzarsi prima.
«Probabilmente è uno stimolo anche per noi docenti per ripensare al nostro contesto formativo in maniera più puntuale rispetto alle esigenze degli psicologi, che possono operare in una varietà di ambiti. E ‘importante formare psicologi che abbiano competenze sempre più adeguate, ad operare nei diversi contesti e non solo nella sanità, che rimane comunque un contesto primario, trattandosi di una professione sanitaria. Ad esempio, nell’ambito del lavoro, in quello sociale e della scuola, per citarne alcuni. Occorre aumentare la domanda di psicologi».
Forse la pandemia ha accelerato l’importanza di potersi dedicare, all’interno del proprio tempo lavorativo, alla ricerca di strumenti per stare bene, per stare meglio. Credo che sia molto importante, parallelamente, continuare il percorso di sensibilizzazione sul ruolo che gli psicologi hanno in tutti i contesti organizzativi di una certa consistenza. Penso che, in primis, nella pubblica amministrazione e in tutti gli enti pubblici dovrebbe essere presente la figura di uno psicologo, così come in tutte le scuole e anche in tutte le aziende di una certa dimensione.
«Si deve investire sulla sensibilizzazione e sulla consapevolezza dell’importanza della dimensione del benessere, dello stare bene. Stiamo osservando un cambiamento culturale, che permette di riconoscere in misura crescente l’importanza della figura dello psicologo. Solo fino a pochi anni fa c’erano degli stereotipi: “se vai dallo psicologo allora sei una persona disturbata”. Bisogna arrivare al punto in cui avremo il medico di base e lo psicologo di base, o meglio lo psicologo di comunità, che opera per il benessere dei cittadini. Ci sono diversi contesti in cui la presenza di uno psicologo può essere davvero utile. Un’osservazione che faccio spesso agli studenti è che ho conosciuto psicologi che sono diventati anche amministratori. Da psicologo c’è una sensibilità e una tensione diversa alle problematiche delle persone nei loro ambienti di vita».
Certamente qui entrano in gioco anche la trasversalità delle competenze e le soft skills che uno psicologo può avere.
«Questo è un altro tema rilevante, ci sono persone che da psicologi hanno scelto strade diverse. Sono formati a gestire i conflitti, o comunque cercare di evitarli. Bisogna uscire da una visione ristretta e tradizionale su quelle che sono le potenzialità della figura dello psicologo: è elemento fondamentale anche per chi opera nel mondo dell’orientamento e del loro inserimento lavorativo».