Le api e il fuoco invisibile degli alberi
di Lorenzo Monaco
Le api contribuiscono a diffondere nei frutteti un batterio che uccide meli, peri, biancospini, cotogni, nespoli. Una ricerca coordinata dall’Università di Bologna ha compreso quale sottile strategia adotti il patogeno per diffondersi nell’ambiente.
I fiori del pero hanno cinque delicati petali bianco-latte, vellutati al tatto. Si presentano a gruppi di quattro o cinque, che sbocciano uno dopo l’altro a primavera inoltrata, lasciando che sia il fiore centrale ad offrirsi per ultimo agli insetti impollinatori. Sono piccoli gioielli naturali destinati a diventare frutti grandi e polposi. Può accadere però che anneriscano improvvisamente, che le foglie avvizziscano come fossero bruciate e che si tingano di nero carbone tralci e rami: come fosse arrivato un fuoco invisibile e micidiale, l’albero secca improvvisamente e muore. Gli agronomi lo chiamano “colpo di fuoco”, ma la causa non è fisica: si tratta dell’effetto di un batterio insidioso e per cui non esiste una cura, Erwinia amylovora.
L’Erwinia infetta molte piante tra di loro parenti – appartengono tutte alla famiglia delle rosacee – ma desta preoccupazione soprattutto quando attacca zone di produzione consolidate, dove i frutti generano reddito, come nel Trentino-Alto Adige (in cui ampie zone sono dedicate alle mele) o nell’Emilia-Romagna (il maggior bacino europeo per la produzione di pere). Non è un caso dunque che un recente studio scientifico sull’argomento sia uscito a firma dei ricercatori dell’Università di Bologna e di quella di Bolzano.
Essendo il contenimento l’unica arma possibile per impedire la diffusione della malattia, gli scienziati – facenti capo al Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari (DiSTA) dell’ateneo bolognese e alla Facoltà di Scienza e Tecnologia della Libera Università di Bolzano – hanno studiato la strategia adottata dal batterio per propagarsi nell’ambiente.
I parassiti e i patogeni, per sopravvivere, devono riuscire a riprodursi in un organismo e migrare su un altro prima che il primo muoia. Se per un batterio come Erwinia i tempi di riproduzione, rapidissimi, non sono un problema, può esserlo invece la migrazione da un albero all’altro. In questo è aiutato dall’uomo, che crea sterminati appezzamenti monocolturali in cui gli alberi sono vicinissimi, ma un ruolo importante lo hanno anche quegli organismi che per loro preciso mestiere ecologico devono trasferire frammenti di materiale biologico da una pianta all’altra: le api che volano di fiore in fiore.
I ricercatori, coordinati da Francesco Spinelli, ricercatore del DiSTA, hanno scoperto che per diffondersi il batterio Erwinia è in grado di manipolare indirettamente il comportamento delle api. Non è l’unico caso in natura. Anche il Toxoplasma gondii, il microscopico organismo che vive nei gatti, quando è ospitato nei topi è in grado di convincerli, manipolando il loro sistema nervoso, a non avere paura dei felini: in questo modo i topi vengono mangiati e il parassita può trasferirsi nell’intestino del gatto, dove è libero di riprodursi. Erwinia amylovora, ospitato tra i tessuti vegetali, ha un’altra strategia: riesce ad agire sul profumo dei fiori. Lo dimostra il fatto che le api messe di fronte a fiori sani e fiori malati – ma asintomatici – e al loro aroma, preferiscono di gran lunga quelli sani. Sembrerebbe un comportamento ottimale, quasi come se le api possedessero un’etica ecologista: riconoscono la malattia e se ne allontanano, arginandone così la diffusione.
Eppure l’effetto finale è opposto. La repellenza delle api verso i fiori malati non è infatti assoluta. L’infezione del batterio modifica sì in maniera impercettibile la fragranza floreali attraverso una cascata di reazioni biochimiche che culmina nella pianta con l’emissione di specifici composti volatili non piacevoli per gli impollinatori, questo effetto però non è così forte da impedire alle api di posarsi comunque sui fiori malati. “Una volta che un’ape si posa su un fiore malato, questa viene contaminata dal batterio e al tempo stesso si trova respinta dall’azione repellente dei composti odorosi prodotti dalla pianta malata – spiega Spinelli- Di conseguenza, il fiore successivo che sceglierà probabilmente sarà quello di un albero ancora sano: in questo modo l’infezione continua a trasmettersi di pianta in pianta”.
Lo studio è un tassello di quella linea di ricerca, molta della quale svolta a Bologna, che da anni sta cercando di comprendere come il “colpo di fuoco” riesca diffondersi. E che ha dimostrato che le api non sono gli unici vettori della malattia. La trasporta anche l’acqua, l’aria (come aereosol), gli uccelli e molti insetti impollinatori selvatici. Essendo allevate dall’uomo però, le api sono gli unici vettori controllabili. Quando negli anni ’90 l’arrivo di Erwinia aveva fatto impallidire gli agricoltori, in Emilia si decise di impedire a tutti gli apicoltori di muovere i loro alveari (una pratica altrimenti comune, per aumentare il livello di impollinazione di un territorio). Fu un errore e a farne le spese furono le ciliegie di Vignola, che non riuscirono a maturare a livelli accettabili per mancanza di impollinatori. Ora sappiamo che gli unici alveari pericolosi sono quelli delle zone infette e che comunque basta chiuderli due giorni prima di spostarli per disinnescarne l’eventuale carica batterica. Grazie alla ricerca.