Lo stupore e la meraviglia nell’opera di Sabrina Mezzaqui

Sabrina Mezzaqui (1964) è un’artista che vive e lavora a Marzabotto, dal 2022 è docente dell’Accademia delle Belle Arti di Bologna dove si è diplomata. Le parole e la scrittura pervadono il suo pensiero artistico e sono fonte di ispirazione per realizzare raffinate opere di arte visiva. Nella sua ricerca Mezzaqui realizza un concetto di arte intesa soprattutto come costruzione paziente e forma di stupore verso ciò che la circonda. Nel suo percorso recupera gesti lenti, ripetitivi e a misura del tempo che scorre.

Questa intervista vuole ripercorre i tratti salienti del suo percorso artistico a partire da alcune delle sue opere.

Nei mesi scorsi una giuria composta anche da docenti Alma Mater, le ha attribuito il Premio Alinovi Daolio. Che significato ha per lei?

«E’ stata una vera sorpresa. Mi sono sentita gratificata e onorata per l’attenzione verso il mio lavoro. Per l’occasione ho tenuto una presentazione pubblica della mia ricerca in dialogo con Renato Barilli e Silvia Grandi. Il premio ha avuto anche una valenza affettiva. Sono stata allieva di Roberto Daolio e ho iniziato a lavorare con lui nelle prime mostre. Un maestro che stimo e ammiro, tanto che alla presentazione ho letto un suo commento al mio lavoro scritto una ventina di anni fa». 

La sua produzione artistica recupera pratiche manuali con tempi dilatati di progettazione e realizzazione. Che rapporto ha con la lentezza?

«E’ una regola di lavoro oltre che uno stile di vita. Viviamo in un periodo caratterizzato da una forte accelerazione del tempo che mal si concilia con la pratica artistica che richiede  spazi vuoti, studio, riflessione. Mantenere ambiti di lentezza e pazienza è una forma di disciplina che mi sono data. La necessità di chiudere le produzioni in tempi brevi, mi ha portato ad aprirmi a interessanti forme di collaborazioni collettive anche se alcune pratiche – scrittura e disegno – non possono essere condivise».

Contenitore di argilla bianca (realizzato da Maria Cristina Navacchia): carta, polvere di marmo, perline, filo 2017

Nei suoi lavori recupera materiali comuni quali carta, fili di lana, oggetti di metallo, ecc. Come avviene la scelta?

«Amo lavorare con ciò che uso e tocco tutti i giorni e scoprirne le potenzialità, al di là dell’evidenza. La carta, materiale che prediligo in assoluto, se intrecciata, permette di realizzare una tessitura molto resistente. Altri incontri sono casuali. Anni fa, nel corso di una residenza artistica in Toscana, sono stata attirata da elementi metallici trovati nella bottega di un fabbro e ho realizzato un mandala, disegno geometrico che mi attrae. Altre scelte risentono di influenze legate all’infanzia, la lana mi rimanda a figure della mia famiglia».

Menzionava il mandala. In C’è un tacito accordo tra le mie matite e gli alberi là fuori, l’opera raggiunge quasi la perfezione, poi interviene un gesto di rimozione. Che significato ha?

«L’opera è stata realizzata per la collettiva 141- Un secolo di disegno in Italia. Il titolo, tratto da una poesia di Nina Cassian sulla solitudine, si accosta bene alla pratica del disegno. Nell’esperienza buddista e tibetana i mandala vengono realizzati con la polvere, sono frutto di azioni pazienti e lente, ma il rito ad essi associato si compie in un attimo e porta alla distruzione di quanto realizzato con tanta cura. In quest’opera il gesto della cancellazione entra nell’opera con la stessa dignità del gesto artistico e rappresenta il contrasto tra la lentezza della preparazione accurata e l’immediatezza della fine, metafora di vita dove tutto è impermanente. La caducità di ciò che ci circonda, la fragilità della nostra stessa natura, sono altri temi su cui lavoro».

C’è un tacito accordo tra le mie matite e gli alberi là fuori, 2020. Matita e gomma da cancellare su carta: 50×50 cm

Dopo il primo lockdown si è occupata di un’opera di arte pubblica per la riapertura dei musei: L’abilità di mutare con le circostanze. Quali messaggi porta con sé questo progetto?

«Per Art City mi fu chiesta un’opera in tempi stretti da esporre nell’Oratorio di San Filippo Neri, luogo ricco di sacralità e memoria. Non avendo tempi idonei di progettazione e pensando al trauma individuale e collettivo in corso, ho lavorato su un’opera che mutava ogni giorno. Ogni mattina, a porte chiuse, con una mia collaboratrice, realizzavamo un mandala diverso da quello del giorno precedente con elementi di metallo. A metà giornata entrava il pubblico. E’ stata un’esperienza molto forte in cui ho voluto trasmettere, attraverso un’opera in trasformazione, l’importanza di adattarsi alle circostanze. Credo nel potere trasformativo dell’arte e nella capacità di indurre un cambiamento in chi la guarda».    

In Autobiografia del rosso, ha messo in primo piano la scrittura attraverso la selezione di testi che ama. La parola ispira ed è forma d’arte nel suo lavoro…

«Uso molto la scrittura, mia e altrui, come strumento di meditazione, descrizione, progettazione. Scrittura e lettura sono pratiche con cui nutro la mia vita e il mio lavoro. Sono un modo per ordinare il vortice dei pensieri, focalizzare l’attenzione, favorire coerenza, cercare la verità, lasciare andare. Autobiografia del rosso, presenta il rapporto tra scrittura e vita. Tutti i libri scelti sono attraversati da questo fil rouge e sono autobiografie nella forma di diario o memorie, genere letterario che prediligo. Per il catalogo ho condiviso 12.000 battute tratte dal mio diario personale. La stesura di un diario mi permette di tenere alta l’attenzione su ciò che accade, su gesti e situazioni che tendiamo a dare per scontati».

Autobiografia del rosso, 2017. 33 libri incartati e decorati, scrivania in legno, sgabello. Realizzati da Elefante Rosso Produzioni. Dimensioni variabili

In occasione della ricorrenza sul De Rerum Natura di Lucrezio, ha partecipato al progetto espositivo Vedere l’invisibile. Lucrezio e l’arte contemporanea a cura di docenti dell’Alma Mater, ospitato dalla Biblioteca universitaria. In quell’occasione si è affidata a nuovi media…

«Per tanti anni mi sono dedicata alla produzione di video, focalizzando il mio interesse su fenomeni naturali quotidiani che rappresentano forme di incanto. Lucrezio è stato definito un poeta visivo e la caratteristica del poema è la ricchezza delle immagini. Celebre il passo in cui descrive l’incessante movimento degli atomi paragonato al pulviscolo che danza in un raggio di sole. Mi sono lasciata ispirare da questo fenomeno che ha sempre catturato la mia attenzione e ho realizzato il video Here Comes the Sun, titolo tratto dalla canzone dei Beatles. Roberto Pinto, curatore dell’esposizione e docente del Dams, lo ha scelto per la mostra. Altri video sono stati selezionati negli anni per l’Annuario della Videoarte italiana, sempre promosso dal Dams». 

Come si può approcciare il pubblico di fronte alle sue opere?

«Penso che il pubblico possa essere in difficoltà di fronte ad alcuni miei lavori. Anch’io faccio fatica di fronte ad opere di artisti di cui non conosco il percorso. L’arte contemporanea è faticosa da capire, non si dà nell’immediatezza, ma attiva uno sguardo, genera un coinvolgimento e una presa di posizione, crea curiosità da approfondire, penso che questo valga anche per i miei lavori».

 

Here comes the sun, Here comes the sun, 2000. Video, silenzioso, 9’

 

Il mantello della Regina delle nevi, 2013. Carta, perline, filo metallico. Dimensioni variabili. h.180 circa

Toccacieloscolora, 2020. 850 Bandiere, fettuccia di cotone, filo di nylon, serigrafia su tessuto

 

Immagine di copertina: Il giuoco delle perle di vetro, 2010. 292 perle di righe di libro arrotolate (da Herman Hesse. Il giuoco delle perle di vetro, Milano, Mondadori – I Meridiani, 1984) Colla e filo.

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