Musica Insieme In ateneo ha ospitato nella sede del DamsLab il giovane pianista Jae Hong Park

di Giovanni Neri.

La stagione di Musica Insieme In Ateneo si è conclusa lo scorso 8 aprile con l’esibizione del giovane pianista Jae Hong Park, nella sede del DamsLab  Auditorium di Piazzetta Pasolini

Reduce  dalla vittoria nel Busoni del 2021 (qui  il terzo concerto di Rachmaninov eseguito nella finale) si presenta il ventiduenne coreano Jae Hong Park . La preminenza di questi giovani interpreti del sud-est asiatico nei concorsi è il frutto di un capillare investimento della Corea (e ugualmente della Cina) in campo musicale dove la musica è materia di insegnamento con la stessa dignità dell’italiano nelle nostre scuole. Va da sé che con una fucina di quella dimensione non possono non emergere i talenti. Qui, in Italia, per suonare uno strumento, bisogna iscriversi a una scuola specifica con tutti i limiti del caso. Perché la musica “eseguita” (in Italia!) non sia materia con la stessa dignità di matematica, italiano etc. è per me un mistero che trova la sua ragione – molto semplicemente – nell’ignoranza e nell’assenza di sensibilità dei politici che si occupano di scuola.  Non che manchino strumentisti di valore nel nostro paese ma le vette concorsuali – con tutte le conseguenze –  non sono loro appannaggio. Discorso vecchio e argomento mai risolto se si pensa che l’unica riforma in materia è stata quella dei conservatori che purtroppo – pur nei lodevoli sforzi – hanno cercato invano di equipararsi alle università dimenticando però che una parte importante delle attività universitarie è dedicata alla ricerca che nei conservatori è ovviamente assente. Tornando al nostro si può affermare che ha pregi e difetti. Due sono i suoi limiti: un eccessiva variabilità ritmica all’interno dello stesso brano e una impostazione spesso troppo granitica. A titolo di esempio si può citare il primo brano eseguito: l’Arabesque di Schumann. Il brano è soffuso da un’aura sognante che un attacco massiccio fa perdere e questo limite si riscontra durante tutto il brano.  Identica valutazione per la sonata op. 11  del compositore di Zwickau. Nessun dubbio che nel primo tempo a fronte di una impostazione energica iniziale debbano essere sottolineati i momenti lirici ma non è accettabile che la contrapposizione dei tempi faccia pensare a brani diversi: esiste una logica consequenzialità nello sviluppo che un’impostazione troppo libera fa perdere.  Discorso del tutto analogo per gli altri tre tempi. Il concerto si conclude con un brano recentemente spesso uscito dal repertorio consueto dei pianisti. Un brano che è fortemente improntato alla sensibilità organistica di Franck e rispecchia, in una visione della seconda metà del secolo XIX, l’impostazione classica che risale a J.S. Bach. Da sottolineare la forte presenza di cromatismi e una forma in cui la fuga finale riprende gli stilemi del preludio in una fusione di grande impatto armonico. Anche in questo caso sono gli eccessi sonori i limiti interpretativi di Park così come spesso la ricerca dell’effetto mediante accelerazioni che la grandiosità del brano suggerirebbe di evitare. Si tratta ovviamente di un giovane che nello spirito dei concorsi attribuisce – erroneamente – all’esuberanza interpretativa la cifra del possibile successo. Si può solo sperare in una maturazione dal momento che non gli mancano di certo i fondamenti tecnici, come anche comprovato dall’ultimo dei tre bis, un brano funambolico di Rachmaninov. Ma per il momento è solo una speranza non una certezza.

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E-mail: giovanni.neri@unibo.it

 

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