Pasolini e le strade di Bologna, tra immagini e parole

Bologna ama Pier Paolo Pasolini. Questo amore si sente, si percepisce lungo tutte le strade del centro città, in particolare quando si è nei pressi nella Cineteca – il cui piazzale antistante porta il suo nome da dieci anni – o nei corridoi dell’università, dove da sempre si studia e si divulga la sua parola, e in cui da alcune settimane i portici rivelano pannelli con la sua immagine e i suoi pensieri.

Pasolini scrive nel 1969 «dopo Venezia, Bologna è la più bella città d’Italia», era dunque un amore ricambiato e come avrebbe potuto essere altrimenti. A Bologna egli studia, forma il suo pensiero per immagini nato dal fortuito incontro nel 1941 con il maestro Roberto Longhi, che per lui – come scrive nel 1973 «ha l’irrealtà di un’apparizione – e ancora – in quell’inverno bolognese di guerra, è stato semplicemente la Rivelazione».

L’amore di Pasolini per l’arte, oltre a essere il cardine della mostra Folgorazioni figurative, di cui abbiamo già parlato, sarà celebrato da Bologna anche attraverso una delle sue principali istituzioni, la Pinacoteca Nazionale, attraverso i Percorsi pasoliniani in Pinacoteca, in cui la grande tradizione pittorica italiana sarà riletta attraverso opere che hanno influenzato l’immaginario pasoliniano. 

E se è attraverso le lezioni di storia dell’arte di Longhi che Pasolini trova linfa per un amore feroce nei confronti della pittura figurativa italiana, dei suoi percorsi storici ed evocativi tra forme e colori, è con Roberto Roversi che incontra la cura e la difesa della parola in poesia. Con lui e con Francesco Leonetti nel 1955 inizia l’avventura di Officina.

Giorgio Bianchi, Veduta della gigantografia in Piazza Maggiore, 2022 @ Comune di Bologna

Il sodalizio tra Pasolini e Roversi è suggellato nella gigantografia presente in Piazza Maggiore (in cui i due sono affiancati da Lucio Dalla) e sarà celebrato nell’arco del centenario della sua morte con un intervento di street-art alla Casa Gialla della Biblioteca Spina del Pilastro, a cura di Cheap che, come molti sanno, ogni anno raccoglie poster da installare nelle bacheche del centro per una narrazione visiva che si innesta sul panorama urbano di Bologna e rivendica per ogni individuo il proprio spazio nel mondo. 

Mi piace pensare che, anche se la sua morte volgare, violenta e improvvisa non gli ha permesso di conoscere la street-art, il suo pensiero, sempre così vicino alle periferie, alla vita comune, quotidiana, segue un fil rouge che accomuna oggi come quarant’anni fa un certo ramo della public art che, uscendo dai circuiti espositivi tradizionali, si mette in gioco e cerca con i propri mezzi di invitare alla presa di coscienza per una piena e consapevole autodeterminazione. Non è per questo forse che Pasolini lottava? Ricordiamoci che quasi mezzo secolo fa, dalle pagine del Corriere della Sera in un articolo intitolato Sfida ai dirigenti della televisione Pasolini proponeva di sovvertire scandalosamente il processo di assimilazione della periferia al centro promuovendo la lettura dei libri attraverso quelli che ora definiremmo i canali social e che all’epoca dell’articolo erano incarnati nel leggendario Carosello. Solo la lettura poteva a suo avviso essere una valida alternativa alla propaganda televisiva, rea di diffondere con una rapidità mai vista prima «un edonismo neolaico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane». 

Pier Paolo Pasolini e Laura Betti, 1962 © Cineteca di Bologna

Leggere oggi Scritti corsari significa riflettere sulla mutazione antropologica vissuta dalla società post rurale e operaia italiana del secondo Novecento, travolta dalla cultura di massa e piegata all’omologazione. Le trappole del contemporaneo, del capitalismo e del consumismo sono per Pasolini una tragedia resa inevitabile dalla cecità di chi aveva il potere (i mass media ancor prima e ancor di più dei politici) e non ha fatto nulla per evitarlo. Le sue parole sembrano scritte oggi. Non stupisce quindi che sia stato e sarà sempre un maestro per le future generazioni, come lo è stato negli anni ’70 per leggende del rock come Patti Smith, che lo cita da mezzo secolo come suo maestro tra i francesi Rimbaud e Verlaine e che nel 2015, nel quarantennale della morte, si è esibita nel Concert for Pasolini a Udine. È anche attraverso la musica del secondo Novecento che ha viaggiato la sua parola. Se fosse vissuto abbastanza, avrebbe potuto vedere che i media possono fare anche qualcosa di buono. 

Patti Smith, 1977 © Lynn Goldsmith

Per info: culturabologna.it/pppbologna

 

*Foto copertina: Pier Paolo Pasolini e l’adorata madre Susanna Colussi, foto scattata da Vittorio La Verde nel 1965 

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