Sangiorgi: “Il Tecnopolo rappresenta una rivoluzione tecnologica e culturale”

di Valerio Castrignano.

A partire dalla seconda metà del 2023 circa trenta ricercatori dell’Istituto Rizzoli di Bologna potranno lavorare in un contesto tecnologico all’avanguardia grazie alla nascita del Tecnopolo nell’ex Manifattura Tabacchi. Abbiamo intervistato il professor Luca Sangiorgi, direttore nell’Istituto ortopedico bolognese della struttura complessa Malattie rare scheletriche e del Laboratorio di Genetica molecolare.

Prof. Luca Sangiorgi

«Siamo di fronte ad un grande cambiamento – ha dichiarato il prof. Sangiorgi  – che sta avvenendo in tutta Europa e che non poteva non coinvolgere anche Bologna. I singoli istituti per crescere oggi dovrebbero accedere a tecnologie e a strutture che non sono in grado di permettersi economicamente e di organizzare da sole. Così nei paesi tecnologicamente più avanzati nascono grandi infrastrutture a cui accedono più realtà. Una rivoluzione nella ricerca competitiva che coinvolge anche l’Italia».

Un cambiamento culturale oltre che un’innovazione tecnologica? 

«Sì, sta facendo un passo avanti nella cultura della ricerca, che diventa cultura della condivisione. Si passa da una situazione in cui si lavorava in piccoli laboratori, rompendo l’idea del gruppo chiuso in sé stesso, e nasce l’idea di un meticciato culturale, cioè di mescolare i risultati provenienti da persone culturalmente diverse. Questo farà crescere possibilità e ricerca».

È un modello che lei ha già conosciuto all’estero? Lo ritiene vincente?

«Sì, negli anni Novanta per tre anni ho lavorato negli Usa. Già in quel decennio Oltreoceano circolava l’idea che bisognasse puntare sulle inter-strutture e non più sui singoli».

Cosa è previsto che il Tecnopolo ospiti, in particolare per aiutare il lavoro dei ricercatori?

«Nasceranno grandi biobanche. Verranno conservati campioni biologici e non solo. Perché i campioni in sé non bastano. Servono notizie correlate a quei campioni, cioè schede che raccontino la storia e l’evoluzione del paziente. Questo sarà possibile grazie ai supercomputer lì presenti».

Tramite i Big Data sarà possibile avere più informazioni per curare i pazienti e migliorare le terapie?

«Si potranno individuare gruppi di pazienti omogenei, studiando l’evoluzione delle patologie. Si confronteranno quei casi che hanno sviluppato simili o omogenee caratteristiche. Così sarà possibile sviluppare modelli e decidere come seguire queste persone nel corso del tempo, con le terapie più efficaci per quei soggetti. In questo sarà fondamentale l’apporto del Machine learning (apprendimento automatico dei computer)».

Questo modello favorirà quella che alcuni medici chiamano “personalizzazione delle cure”?

«L’espressione “personalizzazione” non mi piace, anche se è molto usata. Mi sembra eccessiva e lontana comunque dalla realtà attuale. Però sicuramente siamo di fronte ad una medicina che sta affinando la mira».

C’è uno studio a cui farebbe riferimento in particolare in questo campo?

«Sì, noi stiamo proponendo una ricerca molto interessante del professor Stefano Zaffagnini. L’ambito è quello della chirurgia al ginocchio, in particolare nel caso di rottura del crociato. Sappiamo che è un’operazione molto delicata, rispetto alla quale alcuni pazienti rispondono in modo positivo, mentre altri ottengono risultati meno buoni. Il fine è riuscire a capire quali fattori siano alla base di un buon risultato e definire quindi percorsi chirurgici diversi, da applicare a pazienti diversi».

Quindi si aprono prospettive completamente inedite per i pazienti del futuro…

«Le faccio un altro esempio. Finora per un paziente con una patologia neuromuscolare era considerato un grande risultato riuscire a camminare per un’ora al giorno. Questo era il massimo che potevamo ottenere con le cure oggi disponibili. Grazie ad un utilizzo migliore dei dati, che sono materia prima importantissima, possiamo immaginare di ottenere in futuro risultati anche migliori».

La nascita del Tecnopolo porterà anche nuovi posti di lavoro per la ricerca a Bologna

«È un’evidenza che si basa su ciò che sta accadendo anche in altre realtà dove sono nate strutture simili. Questo perché il computer è in grado di svolgere il compitino affidatogli, ma per fare ricerca c’è bisogno prima di tutto di idee. La ricerca è un mondo molto creativo, quindi ha bisogno di persone».

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