Tra collage, musica, fotografia, illustrazione (e lillipuzziani): i mille mondi di Claudiano.jpg
Così spiegava otto anni fa il suo coloratissimo (e molto criptico) Autoritratto sul suo profilo Facebook: «la casa dell’uccellino rappresenta la scatola cranica, l’uccellino rappresenta la fantasia (e il pensiero), il vento (rappresentato dalla cravatta svolazzante) è una metafora del flusso di coscienza». La poetica di Claudio Chiavacci – per tutti Claudiano.jpg – sembra tendere a una sorta di impatto zero o almeno impatto lieve. La stessa citazione del formato Jpg che adotta nel suo pseudonimo rimanda a una compressione dell’immagine.
È così nelle sue fotografie, nei suoi disegni e soprattutto nella sua identità trovata nella street art, per la quale sceglie lo sticker, facilmente removibile se poco gradito, e i lillipuzziani come protagonisti, entità piccole ai limiti del grottesco. Questi piccoli personaggi sui muri di Bologna, come nel racconto di Jonathan Swift, manifestano una certa tenacia perché si fanno portatori di messaggi forti, ironici, surreali e – a volte – malinconici. Non è difficile capire che dietro tutto questo pop si nasconde molto altro.
Toscano di Poggibonsi, inizia a disegnare a 18 anni e si diploma a Bologna all’Accademia di Belle Arti specializzandosi in fotomontaggio e storytelling. Da li un decennio abbondante di lavori e lavoretti, soprattutto nel campo dell’illustrazione e della fotografia fino all’approdo alla street art e ai suoi lillipuziani, grazie ai quali, racconta «la mia vita è un po’ meno noiosa e un po’ più dignitosa». Ci facciamo raccontare come ce l’ha fatta…

Ci racconta come è passato dalla fotografia – diciamo più convenzionale – alla street art? La sua è una street art che parte da lì, certamente, ma è un modo diverso di intendere questo medium da come ha iniziato. Quali sono stati i passaggi che l’hanno portata a questo?
«Ho fatto vari tipi di fotografia: ritratti, foto di eventi e tanto altro ma mi sembrava sempre di essere al servizio dell’ego di altre persone, questa cosa a un certo punto ha iniziato a infastidirmi perché sentivo di avere qualcosa da dire e sentivo anche che la fotografia non era abbastanza. Delle mie foto sono state pubblicate su Vanity Fair e Rolling Stone però non è cambiato niente per me. Questa cosa mi ha un po’ ferito anche se me l’aspettavo. La forza motrice di questo passaggio è stata quindi la delusione. Ho deciso di passare alla street art perché mi sembrava l’unico linguaggio che in quel momento poteva darmi quello che cercavo ovvero esprimere appieno tutto ciò che avevo dentro. Con la fotografia mi sentivo molto limitato, con l’illustrazione lo stesso. La street art è stato un ponte tra queste due discipline».
Passiamo a Bologna, suo luogo di adozione. Come succede spesso in questa città, e parlo anche io da fuori sede, chi non nasce qui ma qui ci viene a vivere è bravo a individuare e fare propri i tratti comuni del posto. Così i suoi lavori raccontano con un mood leggero – nel senso calviniano del termine – cose molto “bolognesi” o comunque molto nazional popolari che spopolano nei “meme” in rete e nel sentire comune. Sicuramente le sue esperienze professionali passate e presenti – penso alla collaborazione con Succede solo a Bologna per fare un esempio – l’hanno aiutata molto in questo. Ce ne vuole parlare?
«Le mie sono cose leggere e nazional popolari. Io vengo da una famiglia di operai, la cultura per noi è sempre stata televisiva e mediatica, nel bene e nel male questa cosa mi appartiene. Mi ha anche aiutato a sviluppare un senso critico nei confronti di quello che ci circonda. Tutto quel “trash” che ho vissuto mi è rimasto dentro e devo buttarlo fuori con un po’ di ironia».

È evidente il filo sottile e tenace con l’emotività, la malinconia, il disagio. Cosa può dirci su questo?
«Si, è così. Questo filo sottile e tenace esiste, è molto forte e dipende da tutto il mio vissuto: il mio è stato un contesto familiare particolare e forse per questo motivo sono cresciuto fortemente emotivo. Per me il mio lavoro è un modo di mettermi a nudo ed esorcizzare un po’ le cose che mi fanno soffrire».
Concludiamo con la domanda di rito. Quali sono i suoi progetti futuri?
«Di sicuro voglio creare delle sinergie sempre più grandi tra street art e musica. Già lo sto facendo ma vorrei portare questa cosa a un livello successivo, integrare ancora di più i due mondi che sono abbastanza difficili da integrare, ci vuole molto impegno. Ho poi un secondo progetto: fare altre mostre e affrontare sempre temi scomodi, assolutamente fuori dalla mia comfort zone, temi che vanno a indagare il mio passato, il mio presente e forse anche il mio futuro».
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Immagine di copertina: Claudiano.jpg, Bologna, luglio 2022, photo credits: Claudio Chiavacci
