Al DamsLab in mostra la solitudine, l’ozio e la precarietà ai tempi del Tecnocene

Antropocene, Capitalocene, Thanatocene, Tecnocene: ben più di semplici ere geologiche, piuttosto visioni del modo in cui l’uomo abita il mondo. Un ciclo di tre mostre, a cura di Into the Black Box in collaborazione con Bianca Cavuti e il centro La Soffitta del Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna, racconta e riflette sull’era che stiamo vivendo.

Il chimico olandese Paul Jozef Crutzen, premio Nobel nel 1995, conia il termine Anthropocene per attestare geologicamente la conclusione dell’Olocene, era risalente a circa 12000 anni fa. Ma, se con l’accento sull’antropos si riconosce nell’attività umana un fattore ormai capace di condizionare la situazione complessiva del pianeta, è con l’avvento del suo operato tecnologico che si entra nell’era del web e dell’intelligenza artificiale e si prende consapevolezza di un mondo a “dismisura d’uomo”. Da Antropocente a Tecnocene, dunque. Scrive Crutzen nel 2007 «le attività umane sono divenute talmente profonde e pervasive da rivaleggiare con le grandi forze della natura, tanto da spingere la Terra verso una terra incognita planetaria». La Tecno-natura corre verso l’incognito e l’indefinito, con tutte le conseguenze nella nostra sfera sociale, che deve inesorabilmente fare i conti con essa.

Tecnocene racconta la società contemporanea e le sue crisi, i rapporti di subalternità nel lavoro al tempo della globalizzazione, lo sfruttamento e le dinamiche di potere che si celano dietro il mito dell’innovazione. Ma non c’è solo la denuncia sociale: gli artisti ci danno anche la possibilità di immaginare pratiche di resistenza e mondi alternativi alla “terra incognita” verso cui stiamo tendendo.

Into the Black Box (http://www.intotheblackbox.com) è un work in progress che da alcuni anni riflette sul ruolo delle infrastrutture nella costruzione delle forme di potere. La black box è il simbolo delle attuali tecniche manageriali, rimanda all’emblema della logistica – il container – e si propone come dispositivo per celare le logiche che stanno dietro i circuiti di accumulazione (di cose, di potere, di denaro). Il primo progetto, Lavorare stanca, si è svolto negli spazi del DamsLab (Piazzetta Pasolini 5/b) dal 19 al 24 marzo scorso indagando, attraverso opere di Silvio Lorusso, Guido Segni e Wuxu, il rapporto tra lavoro e tempo, ponendo il focus sul diritto all’ozio, il rifiuto del lavoro e il conseguente ruolo dell’automazione. Seguirà Produci!Consuma! con opere di Paolo Cirio, !Mediengruppe Bitnik ed Emilio Vavarella, che si svolgerà dal 23 al 28 aprile e sarà dedicato all’impatto della platform economy sulle nostre vite e le nostre abitudini. In conclusione, Che fare?, che si terrà dal 14 al 19 maggio esporrà i progetti dei collettivi Disnovation.org e Rage su scenari futuribili e possibili strategie di resistenza. 

Tecnocene è un progetto di cyber-antropologia che parla di precarietà e nomadismo; in esso la mobilità è indagata come migrazione (fenomeno più che mai tragicamente attuale in questo momento storico) ma anche come forma di lavoro e nelle sue conseguenze sul territorio. Perché riflettere porta a capire e capire a migliorare il futuro (o almeno a provarci). 

 

Unibo, laboratori di arte, musica e spettacolo (Via Azzo Gardino-Bologna) Foto di Andrea Samaritani

DamsLab © Università di Bologna

Lara De Lena

Lara De Lena

Laureata in Lettere moderne, si specializza nel 2017 in Beni storico artistici con una tesi in arte contemporanea. Dallo stesso anno collabora con il CUBo, di cui è nel direttivo dal 2021. Ha collaborato con la Pinacoteca Nazionale di Bologna, il MAMbo e ha partecipato al progetto internazionale ADM - Art Market Dictionary. È impegnata nella realizzazione dell’Archivio digitale Roberto Daolio.

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