Un viaggio nella moda d’epoca con il Circolo

Tra i coloratissimi manifesti e le copertine delle riviste di moda esposti alla Fondazione Magnani Rocca (Mamiano di Traversetolo, Parma) che abbiamo visitato con il Circolo il mese scorso, la sensazione è stata quella di essere di fronte a qualcosa di fortemente identitario. 

Ogni immagine, dalla metà dell’Ottocento al Novecento inoltrato, racconta l’Italia, una nuova nazione che cerca una sua identità e una leggerezza in cui trovare un presente che guardi al futuro. Il fenomeno della moda è un fenomeno dalle connotazioni sociali molto complesse e stratificate, la sua connessione con la geopolitica è un elemento imprescindibile, basti pensare come grazie alle sue tendenze è possibile vedere l’evoluzione dello stile e, con esso, l’evoluzione di massa.

Vestire serve a connotarci come appartenenti a un determinato gruppo sociale, l’outfit racconta chi siamo di fronte alla società in cui viviamo, dimostra l’implicita accettazione di regole non scritte, di codici sedimentati nel tempo e frutto di un sentire comune. Il celeberrimo monologo di Miranda, interpretata da Meryl Streep ne Il Diavolo veste Prada sul ceruleo – che tutti ricorderete (e se non lo ricordate correte ai ripari su YouTube) – parte con la frase rivolta alla sua giovane assistente che va fiera del suo non essere una fashion addicted. Nel dirle perentoria e sprezzante «tu pensi che questo non abbia niente a che vedere con te» Miranda rivela a tutti che nella moda si fa sempre una scelta, anche quando si pensa di non scegliere. Si pensi alla rivoluzione portata dai capelli à la garçonne, una delle tante mode francesi arrivate in Italia, subito recepita, non a caso, proprio da Ada Magnani, come si vede nella foto scattata nel 1928 dalla fotografa inglese Eva Barrett.

Ada Magnani, 1928 © Collezione Magnani Rocca

L’universo della moda è definito da Roland Barthes in un suo saggio del 1967 «strumento di costruzione e diffusione del desiderio» e in questo processo il linguaggio gioca un ruolo peculiare. Il successo della pubblicità di moda passa non solo dai manifesti affissi nelle strade ma trova forte alimento anche dalle riviste di allora, alcune scomparse e altre che sopravvivono ai giorni nostri, e che – confesso – dopo la visita alla Fondazione Magnani Rocca ho osservato dalle vetrine delle edicole con tutti altri occhi. 

Ma facciamo un passo indietro. 

Il giornalismo di moda nasce verso la fine del Settecento in Francia e in Inghilterra e in Italia arriva subito dopo. Sono gli anni, gli ultimi decenni del Settecento, in cui donne pioniere iniziano a fondare e dirigere riviste come «Il Giornale Enciclopedico» e «La donna galante», esempi di pubblicazioni atte a diffondere non solo un gusto ma anche un vero e proprio codice comportamentale, una sorta di antesignane delle moderne influencer e degli ormai inevitabili tutorial.

Copertina della rivista quindicinale «La Donna», 1920 © Collezione Magnani Rocca

Le riviste italiane di moda nascono e si diffondono da nord a sud ponendosi come un osservatorio dello scenario francese: gli articoli erano perlopiù incentrati a commentare i contenuti delle riviste d’oltralpe, sia per incensarle che per criticarle. Del resto, quali altri argomenti potevano essere adatti alle donne? La mentalità di allora portava a mettere distanza tra loro e le questioni politiche, gli affari economici i dibattiti sociali. Alle donne era relegato il ruolo di angeli del focolare e silenziose accompagnatrici dei consorti. Ma l’ingegno femminile non si è lasciato vincere e ha trovato altri modi di esprimersi, in particolare quelle “innocue” letture specializzate che le signore sfogliavano al sicuro nel salotto di casa. Mai sottovalutare una donna…

Immagine di copertina © Bettmann Getty Images

 

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